21 novembre 2021 - XXXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)
Nostro Signore Gesù Cristo Re dell'Universo

 

Jacopo Tintoretto: Cristo davanti a Pilato (1566-67)

Venezia, Scuola Grande di San Rocco

 

 

PRIMA LETTURA (Daniele 7,13-14)

Guardando nelle visioni notturne,
ecco venire con le nubi del cielo
uno simile a un figlio d’uomo;
giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui.
Gli furono dati potere, gloria e regno;
tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano:
il suo potere è un potere eterno,
che non finirà mai,
e il suo regno non sarà mai distrutto.


SALMO RESPONSORIALE (Salmo 92)


Rit. Il Signore regna, si riveste di splendore.

 

Il Signore regna, si riveste di maestà:
si riveste il Signore, si cinge di forza.

È stabile il mondo, non potrà vacillare.
Stabile è il tuo trono da sempre,
dall’eternità tu sei.

Davvero degni di fede i tuoi insegnamenti!
La santità si addice alla tua casa
per la durata dei giorni, Signore.

 

 

SECONDA LETTURA (Apocalisse 1,5-8)

Gesù Cristo è il testimone fedele, il primogenito dei morti e il sovrano dei re della terra.

A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen.

Ecco, viene con le nubi e ogni occhio lo vedrà,
anche quelli che lo trafissero,
e per lui tutte le tribù della terra
si batteranno il petto.
Sì, Amen!
Dice il Signore Dio: Io sono l’Alfa e l’Omèga, Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente!


VANGELO (Giovanni 18,33-37)

In quel tempo, Pilato disse a Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?».

Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù».

Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».



In altre parole…

 

Laicamente o giornalisticamente parlando, si sente spesso evocare l’uomo della provvidenza, con riferimento a personalità ritenute capaci di venire a capo di situazioni bloccate, al di là delle normali logiche di governo. Forse c’è in questo modo di esprimersi qualche lontano riflesso delle attese e delle visioni che abitano il cuore dell’umanità, tracce incancellabili della nostalgia di Dio per un mondo più giusto e in pace. I veri profeti se ne fanno interpreti nel nome stesso di Dio, perché tutti ne prendano coscienza e ne tengano conto.

 

Ecco allora il profeta Daniele, che nelle sue visioni notturne vede approssimarsi tra le nubi del cielo, e quindi in contesto divino, “uno simile a un figlio d’uomo”, qualcuno che riassume in sé l’umanità intera. È chiaro che questo figlio dell’uomo, che è tutti noi, non esercita il suo potere a nome proprio, ma ne riceve l’investitura da un “vegliardo”  a cui viene presentato, per ottenere regalità e signoria.

 

Sembra quasi che il potere non ammetta appropriazioni arbitrarie, e debba essere esercitato nella misura in cui viene concesso dall’alto, come Gesù dirà a Pilato. Sta di fatto che questo Figlio dell’uomo è destinato a regnare su popoli, nazioni e lingue con un potere eterno in un regno che non sarà mai distrutto. Non abbiamo fatto che parafrasare le poche parole del profeta Daniele, ma ciò basta per capire la natura biblica del potere ed il senso della regalità e della signoria con cui la chiesa celebra il Cristo in questa ultima domenica dell’anno liturgico.

                                                                                                             

Per la verità, questa solennità, più che per origini bibliche di natura teologica, nasce sotto il pontificato di Pio XI nel 1925 per ragioni apologetiche e storiche, in un primo tempo come festa fissata a fine ottobre, e solo successivamente inserita nell’anno liturgico come momento conclusivo della storia della salvezza. Ma se una correzione di significato e di collocazione liturgica è possibile in linea teorica, di fatto la sensibilità  del popolo cristiano rimane ancorata ai vecchi schemi trionfalistici, in contrasto col sentimento che dovrebbe essere quello di una “chiesa dei poveri”.

 

Con tutto il rispetto per i ritardi e le devianze storiche, non sarebbe fuori luogo l’accostamento a Giovanni 6,15, quando ci dice: ”Ma Gesù, sapendo che stavano per venire a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sulla montagna, tutto solo”.  C’è da pensare ad un Gesù che si ritira di nuovo sulla montagna, se noi continuiamo a credere che stia a noi proclamarlo come re dell’universo davanti al mondo, se prima non riconosciamo e confessiamo la sua signoria su di noi.

 

Nel suo colloquio con Pilato, Gesù cerca di tirarci fuori da questa ambiguità persistente, che farebbe di lui una bandiera di dominio o un vessillo di vittoria. Pilato gli chiede se egli sia il “re dei Giudei”. Sarebbe come chiedergli se sia lui il re dei cristiani, o sia re al modo in cui lo vedono i cristiani. Un sì o un no darebbero adito a fraintendimenti, perché verrebbe affermata una verità indiscutibile con tutti i suoi contorni non veri; così come potrebbe essere negata questa verità di fondo nel caso si volesse rifiutare il modo in cui viene presentata: re, ma dei Giudei, quindi alla maniera dei Giudei, come era stato osannato all’ingresso in Gerusalemme.

 

Siamo messi quindi davanti a questo interrogativo: se noi diciamo che egli è re per sentito dire da altri, o se arriviamo a dirlo con tutti i nostri sentimenti secondo verità. Vediamo che Pilato si dispensa dal dare risposta, e se ne lava le mani prima ancora di compiere il gesto: lui non fa parte della sua gente, che però lo ha consegnato a lui come reo di essersi dichiarato re. E gli chiede cosa avesse fatto per procurarsi questa accusa e suscitare tanta ostilità.

 

Ed ecco allora Gesù che, dopo aver scongiurato fraintendimenti e dopo aver messo in chiaro sentimenti e atteggiamenti di tutti nei suoi confronti, è finalmente libero di dirci come stanno le cose: e cioè di dirci che il suo regno non è di questo mondo o di quaggiù. La sua silenziosa presenza davanti a Pilato è l’icona di poteri diversi a confronto: per lui non è questione di eserciti o di combattimenti, ma si tratta di quanto aveva predicato, insegnato e testimoniato fino ad allora riguardo al Regno di Dio. Ciò che suscita in Pilato l’interrogativo e il dubbio che egli sia veramente re, tanto che più tardi risponderà stizzito con le note parole “quod scripsi scripsi” ai Giudei, che lo invitavano a correggere la sentenza di morte.

 

A scanso di interferenze e strumentalizzazioni, Gesù non esita a dire apertamente “Io sono re”. Affermazione sorprendente, che lo impegna a dire in positivo il senso del suo regno, che in negativo non è di quaggiù o di questo mondo, di questo ordine di cose. Le ragioni della sua regalità e della sua Signoria coincidono con quelle stesse della sua nascita e del suo essere nel mondo: la testimonianza della verità, e cioè la rivelazione e la conoscenza del Padre. Chi è sintonizzato sulla lunghezza d’onda di questa verità ascolta la sua voce e si lascia guidare alla verità tutta intera, per divenire adoratore dl Padre in spirito e verità. È questo il processo che egli ha innescato nel mondo, soggetto peraltro alla stessa dialettica della sua testimonianza, senza facili scorciatoie.

 

Le poche parola del libro dell’Apocalisse racchiudono il senso e il dramma di questa signoria del Figlio dell’uomo: “Gesù Cristo è il testimone fedele, il primogenito dei morti e il sovrano dei re della terra”. Non possiamo non tornare all’urto di questo linguaggio, se vogliamo ridare sostanza alla fede, troppo annacquata! Se poi vogliamo renderci conto di come la signoria di Cristo operi su di noi, “egli è colui che ci ama”; che ci libera dalla dimenticanza del Padre nella sua verità; e che ci rende partecipi della sua stessa regalità promuovendoci a “sacerdoti per il suo Dio e Padre”.

 

La manifestazione della potenza e della gloria non è riservata solo a quanti la vivono interiormente, perché il Regno di Dio è dentro di noi. Infatti, “Ecco, viene con le nubi e ogni occhio lo vedrà, anche quelli che lo trafissero, e per lui tutte le tribù della terra si batteranno il petto”. Viene da chiedersi se la Chiesa esistente, oltre che celebrare per se stessa la solennità di Cristo re dell’universo, sappia interpretare e testimoniare questa regalità al mondo nella sua verità e non solo ideologicamente o proselitisticamente. (ABS)


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