16
maggio 2021 - ASCENSIONE DEL SIGNORE
(ANNO B)
John Singleton Copley: L’Ascensione (1775)
Boston (Massachusetts), Museum of Fine Arts
PRIMA LETTURA (Atti degli
Apostoli 1,1-11)
Nel primo racconto, o Teòfilo, ho trattato di tutto quello che Gesù fece e insegnò dagli inizi fino al giorno in cui fu assunto in cielo, dopo aver dato disposizioni agli apostoli che si era scelti per mezzo dello Spirito Santo.
Egli si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio. Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere l’adempimento della promessa del Padre, «quella – disse – che voi avete udito da me: Giovanni battezzò con acqua, voi invece, tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo».
Quelli dunque che erano con lui gli domandavano: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?». Ma egli rispose: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra».
Detto questo, mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo».
SALMO RESPONSORIALE (Salmo 46)
Rit. Ascende il
Signore tra canti di gioia.
Popoli
tutti, battete le mani!
Acclamate Dio con grida di gioia,
perché terribile è il Signore, l’Altissimo,
grande re su tutta la terra.
Ascende Dio tra le acclamazioni,
il Signore al suono di tromba.
Cantate inni a Dio, cantate inni,
cantate inni al nostro re, cantate inni.
Perché Dio è re di tutta la terra,
cantate inni con arte.
Dio regna sulle genti,
Dio siede sul suo trono santo.
SECONDA LETTURA (Efesini 4,1-13)
Fratelli, io, prigioniero a motivo
del Signore, vi esorto: comportatevi in maniera degna della
chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e
magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di
conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace.
Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla
quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo
Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di
tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è
presente in tutti.
A ciascuno di noi, tuttavia, è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo. Per questo è detto: «Asceso in alto, ha portato con sé prigionieri, ha distribuito doni agli uomini». Ma cosa significa che ascese, se non che prima era disceso quaggiù sulla terra? Colui che discese è lo stesso che anche ascese al di sopra di tutti i cieli, per essere pienezza di tutte le cose.
Ed egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo.
VANGELO (Marco 16,15-20)
In quel tempo, [Gesù apparve agli Undici] e disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno».
Il Signore Gesù, dopo aver parlato
con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio.
Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore
agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la
accompagnavano.
In altre parole…
Bisogna stare attenti e non fare dell’Ascensione la narrazione di un episodio o una ricorrenza religiosa, magari folcloristica e poi, “passata la festa”, lasciarsela alle spalle. Essa in realtà non è che la pienezza della glorificazione del Verbo in senso ascendente rispetto alla sua incarnazione o annientamento (cfr. Fil 2,8): “Colui che discese è lo stesso che anche ascese al di sopra di tutti i cieli, per riempire tutte le cose” (Ef 4,10). È quanto professiamo nel Credo in termini davvero estremi: “Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo, è salito al cielo, siede alla destra del Padre”. Se stiamo al vangelo di Giovanni, la croce è sì discesa agli inferi, ma anche esaltazione, glorificazione e Ascensione! È la manifestazione di quella “immensa gloria” per cui nell’Inno di Gloria rendiamo grazie, e per cui anche noi glorifichiamo Dio.
Purtroppo, siamo soliti dare per comprese queste parole della fede e magari ci limitiamo ad approfondimenti esegetici per capire come i vari evangelisti, - e Luca anche negli Atti - presentano ed interpretano l’Ascensione; o al più ci lasciamo andare a considerazioni spirituali o applicazioni pratiche che ricaviamo a nostro uso e consumo. Raramente si tenta un approfondimento di merito del “mistero” come opera di Dio, che è poi la sostanza del credere e la matrice della vita cristiana.
Questa vita cristiana che, mentre siamo tutti predisposti ad intenderla come “via crucis”, più difficilmente siamo disposti a percepirla come cammino di glorificazione, così come è per Gesù il Cristo, il quale “non considerò l'essere uguale a Dio prendendo forma di servo; perciò Dio lo ha sovranamente innalzato, e ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore, alla gloria di Dio Padre” (Fil 2,7-11). Egli è di conseguenza anche “speranza della gloria di Dio” (Rm 5,2; cfr. Col 1,27) per noi, che ne siamo privi perché questo è il “peccato”. Perché, se “tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio”, viviamo nella speranza di ”entrare nella gloriosa libertà dei figli di Dio”. (Rm 8, 21.)
E se è questa la speranza grande che la chiesa deve tener viva e suscitare nel mondo per tutti, perché fa così poca presa al suo interno? Perché così poca ambizione di recuperare e vivere secondo questa gloria o libertà di figli di Dio, come se lo fossimo per diritto e a buon mercato? Per la verità, la Parola di Dio è sempre più presente nella vita della chiesa e la fede dei credenti è sempre meglio riferita al senso del mistero che la abita. Ma tutto questo continua a cadere sul terreno di una religiosità introversa e a circuito chiuso, qualcosa che rimane irrilevante per il mondo, quando ne dovrebbe essere il lievito.
Dobbiamo guardare al Signore Gesù elevato al cielo alla destra di Dio non solo come visione celeste ma in ottica storica: infatti, ad insediarsi alla destra di Dio è ormai il nuovo Adamo, il Verbo che torna a rivestirsi di gloria “presso Dio” ma ormai in quanto “carne”! La situazione nuova che si crea in assoluto la ricaviamo da quanto Gesù dice a Maria che lo chiama Rabbuni: “Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va' dai miei fratelli e di' loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro” (Gv 20,17).
È l’ultimo passo che Gesù fa per portare questa donna appassionata e i discepoli tutti alla fede in lui e nel Padre. Egli non vuole che Maria continui a cercarlo col sentimento e alla maniera di sempre fino a poterlo stringere, ma anche lei deve fare un salto di qualità e vederlo ormai definitivamente presso il Padre, un passo sempre difficile ma necessario, perché questo era l’obiettivo previsto. Come dirà san Paolo, “anche se abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne, ora non lo conosciamo più così” (2Cor 5,16). Il punto forse è proprio questo: come conosciamo Cristo, se secondo nostri criteri di qualunque genere siano - “Chi dice la gente che io sia?” (Mc 8,27) - o invece come lui vuole essere conosciuto nella sua interezza: il “Cristo totale”, il Signore seduto alla destra del Padre ormai come suo e nostro Dio, il “Dio con noi” pienamente realizzato.
È lo stesso passaggio che devono ancora fare quelli che egli si era scelto e a cui aveva dato molte prove fino a stare a tavola con loro, ma che alla fine dimostrano di non aver ancora capito e fanno domande fuori luogo e fraintendono ogni cosa, tanto da dover essere richiamati da uomini in bianche vesti di non stare a guardare il cielo: dopo che si sono preoccupati della restaurazione del regno per Israele ora stanno lì a fissare in alto ugualmente increduli nonostante tutto. Entrare nella logica di Gesù e seguirlo fino in fondo nel suo ritorno al Padre, dove ci vuole portare - “Padre mio e Padre vostro” – non è facile per nessuno ma sarebbe necessario per tutti, e soprattutto per una chiesa troppo sacralizzata e mondanizzata al tempo stesso! Ma per questo non ci sono ricette o formule, se non la fede dei cuori in aperta ricerca.
E se Gesù si aspetta un rapporto sempre nuovo con lui è anche perché diverso ormai è il suo modo di porsi nei confronti di loro, verso cui opera investito della potenza di Dio e del suo Spirito. Egli continua ad agire nel mondo attraverso i suoi, che ha il coraggio di inviare a “proclamare il vangelo ad ogni creatura”: il vangelo che è ormai lui in persona. Tanto che proprio nella obbedienza a lui i discepoli fanno il passo decisivo e sperimentano la sua presenza e la sua potenza: “Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano”. Che non debba essere questo anche oggi il modo di renderlo presente e farlo agire nel nostro mondo, prima di tante altre modalità standard: e cioè obbedire al suo mandato e predicare il vangelo?
Come tutto questo debba essere vissuto in quanto vocazione e missione di chiesa, ce lo dice san Paolo, che ci invita a comportarci in maniera degna di questa chiamata: a costruirci nell’unità dello Spirito per mezzo del vincolo della pace, ad incarnare la speranza della nostra vocazione, quella di diventare casa e tempio di Dio, luogo della sua gloria. Sembra quasi che Gesù sia “disceso quaggiù sulla terra” per preparaci a questo, mentre è “asceso in alto” per ricolmarci della pienezza dei suoi doni e abilitarci a “preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo”.
Bisognerebbe soltanto che queste parole fossero lo specchio di una realtà vissuta e fonte di una esperienza da vivere. Saremmo chiesa sinodale anche senza accorgercene e potremmo dar vita ad un Sinodo, che diversamente sarebbe solo un vestito di circostanza! Basterebbe insomma che la chiesa fosse intrinsecamente quella che è come vocazione e come missione in “obbedienza al suo Signore”. E facesse a meno dei tanti effetti speciali con cui cerca di accreditarsi e insediarsi tra gli uomini! (ABS)