14 agosto 2022 - XX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

 

Marten de Vos e Adriaen Collaert: Geremia nella cisterna (post 1550)

Bergamo, Accademia Carrara, Gabinetto Disegni e Stampe

 

 

PRIMA LETTURA (Geremia 38,4-6.8-10)

In quei giorni, i capi dissero al re: «Si metta a morte Geremia, appunto perché egli scoraggia i guerrieri che sono rimasti in questa città e scoraggia tutto il popolo dicendo loro simili parole, poiché quest’uomo non cerca il benessere del popolo, ma il male». Il re Sedecìa rispose: «Ecco, egli è nelle vostre mani; il re infatti non ha poteri contro di voi».

Essi allora presero Geremia e lo gettarono nella cisterna di Malchìa, un figlio del re, la quale si trovava nell’atrio della prigione. Calarono Geremia con corde. Nella cisterna non c’era acqua ma fango, e così Geremia affondò nel fango.

 


Ebed-Mèlec uscì dalla reggia e disse al re: «O re, mio signore, quegli uomini hanno agito male facendo quanto hanno fatto al profeta Geremia, gettandolo nella cisterna. Egli morirà di fame là dentro, perché non c’è più pane nella città». Allora il re diede quest’ordine a Ebed-Mèlec, l’Etiope: «Prendi con te tre uomini di qui e tira su il profeta Geremia dalla cisterna prima che muoia».

 

 

SALMO RESPONSORIALE (Salmo 39)


Rit. Signore, vieni presto in mio aiuto.

 

Ho sperato, ho sperato nel Signore,
ed egli su di me si è chinato,
ha dato ascolto al mio grido.

Mi ha tratto da un pozzo di acque tumultuose,
dal fango della palude;
ha stabilito i miei piedi sulla roccia,
ha reso sicuri i miei passi.

Mi ha messo sulla bocca un canto nuovo,
una lode al nostro Dio.
Molti vedranno e avranno timore
e confideranno nel Signore.

Ma io sono povero e bisognoso:
di me ha cura il Signore.
Tu sei mio aiuto e mio liberatore:
mio Dio, non tardare.

 

 

SECONDA LETTURA ( Ebrei 12,1-4)

Fratelli, anche noi, circondati da tale moltitudine di testimoni, avendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento.

Egli, di fronte alla gioia che gli era posta dinanzi, si sottopose alla croce, disprezzando il disonore, e siede alla destra del trono di Dio.

Pensate attentamente a colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori, perché non vi stanchiate perdendovi d’animo. Non avete ancora resistito fino al sangue nella lotta contro il peccato.



VANGELO ( Luca 12,49-53)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto!

Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera».

 

In altre parole


“Mi ha tratto da un pozzo di acque tumultuose, dal fango della palude; ha stabilito i miei piedi sulla roccia, ha reso sicuri i miei passi”: queste parole del salmo 39 hanno senz’altro un significato simbolico di quando nella vita ci sentiamo sommersi per poi in qualche modo riemergere; ma esse hanno un valore reale per la sorte del profeta Geremia che affonda nel fango, sorte comune ad ogni profeta che sia voce di verità scomode. La cisterna sembra essere riservata a quanti vogliamo mettere a tacere, quando non diventa il compromesso di una eliminazione incruenta, come nel caso di Giuseppe da parte dei suoi fratelli (cfr. Gen, 37).

 

Dentro una Gerusalemme assediata e impegnata nella difesa di se stessa, questo uomo di Dio si rende conto che la città è insidiata soprattutto all’interno dal suo abbandono della Legge e arroccata nel far valere un proprio sistema di vita e di potere, tanto sacralizzato quanto infedele. Mentre tutti esortano a non arrendersi confidando nella promessa del loro Dio, Geremia è il solo a rendersi conto che di fatto Dio è già lontano dal suo Popolo, e perciò indica una resa rigeneratrice in vista di una rinnovata alleanza. C’è insomma chi confida in Dio anche nell’accettazione della prova, della deportazione, del fallimento e della sconfitta: al “Dio con noi” si contrappone il “noi con Dio”!

 

Ma è chiaro che la posizione dominante, diciamo ufficiale, è quella condivisa dai più,  in quanto assicura la sopravvivenza e lo status quo, mentre chi ci riporta alla cruda realtà delle cose “non cerca il benessere del popolo, ma il male”, e quindi è bene che venga eliminato. In questo dramma ricorrente, ecco il re Sedecia prefigurare Pilato e consegnare nelle mani del popolo e dei suoi capi Geremia, peraltro tirato fuori dalla cisterna per la mediazione di uno straniero, Ebed-Mèlec, l’Etiope, uno fuori dei giochi di potere. Alla luce di tutto questo, venendo a noi e toccando con mano la riconosciuta inconsistenza della fede della chiesa al suo interno, vale la pena mantenere un atteggiamento difensivo e polemico – di riprovazione e di condanna – verso quanto sembra accerchiarla e comprometterla? Non sarebbe più opportuna una resa  materiale alla realtà dei fatti e delle cose, per poter rigenerare la propria fede e al tempo stesso essere fermento di salvezza?

 

Chiediamoci se non sia questo l’atteggiamento voluto da Gesù per se stesso e per i suoi, quello di Geremia! Da notare che nella risposta che i discepoli danno alla domanda di Gesù su quello che dice la gente su di lui, figura anche il nome di Geremia o qualcuno dei profeti (Mt 16,14). Un profeta che dice si sé: “Mi dicevo: «Non penserò più a lui, non parlerò più in suo nome!». Ma nel mio cuore c'era come un fuoco ardente, chiuso nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo” (Ger 20,9). Dove il richiamo a Gesù è intrinseco e fa pensare allo stesso fuoco che gli arde dentro, e che vorrebbe diffondere nel mondo attraverso il nostro ardore evangelico. Siamo abituati a sentirci dire “luce del mondo” e “sale della terra”, mentre più difficilmente sentiamo di dover essere fuoco!

 

Non a caso, quando Giovanni Battista parla di colui che sarebbe venuto dopo di lui, ci dice che costui avrebbe battezzato “in spirito santo e fuoco” (Mt 3,11). È quanto viene confermato da Gesù stesso, che con parole nette ed efficaci ci dà il senso profondo della sua presenza nel mondo: “Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso!”. Anche il suo era un fuoco contenuto, col quale avrebbe dovuto consumare il proprio sacrificio di “Agnello di Dio” e del quale desiderava rendere partecipi tutti noi. È quello che ci fa capire parlando del battesimo che stava per ricevere: “Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto!”.

 

È il battesimo che prospetta in risposta ai figli di Zebedeo, ignari di cosa in realtà chiedessero: “Voi non sapete ciò che domandate. Potete bere il calice che io bevo, o ricevere il battesimo con cui io sono battezzato?” (Mc 10,39). È il battesimo ricevuto nel Giordano che prefigura il battesimo di sangue sul Calvario: quello a cui Gesù guarda con angoscia, con la pena che la sua croce sarà resa vana dai più. È un fuoco portato sulla terra, ma che stenta ad accendersi e diffondersi, perché proprio la croce è motivo di scandalo e segno di contraddizione. Si fa spesso appello alla nostra condizione di battezzati, ma forse senza renderci conto di ciò che questo implica di partecipazione al battesimo di Cristo, e invece che immersione nella sua morte abbiamo un annacquamento della sua croce!

 

San Paolo è colui che ha cercato di entrare nel vivo di questo mistero, lasciandoci intuire il sentimento profondo di Cristo. Per esempio quando ci dice: “Egli infatti è la nostra pace… annullando, per mezzo della sua carne, la legge fatta di prescrizioni e di decreti… per mezzo della croce, distruggendo in se stesso 'inimicizia” (Ef 2,14-16). Di qui l’amarezza di un Gesù che al momento in cui fa di tutto per assicurarci la riconciliazione e la sua pace, è costretto a prendere atto che diventa invece motivo di divisione, fino al punto che “se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre”. Non c’è nessuna volontà di creare fratture, ma è inevitabile che questo avvenga anche tra i discepoli, perché è necessaria per tutti la prova del fuoco: “Perché il valore della vostra fede, molto più preziosa dell'oro, che, pur destinato a perire, tuttavia si prova col fuoco, torni a vostra lode, gloria e onore nella manifestazione di Gesù” (1Pt 1,7).   

 

Inutile dire che qui c’è segnato il nostro itinerario di discepoli senza riduzionismi, e non c’è da pensare ad un compito profetico di annuncio evangelico pianificato e garantito, al riparo di contrasti e divisioni. Quando la lettera agli Ebrei ci dice che anche noi siamo circondati da una moltitudine di testimoni, il riferimento è a quanti per fede si sono avventurati verso le cose sperate e invisibili, ma è chiaro che qui abbiamo davanti Geremia e Gesù, per avere lo stesso fuoco interiore e ricevere lo stesso battesimo, di cui anche essere calati in una cisterna è simbolo. Abbiamo davanti una corsa da non mancare e da portare a compimento, con lo sguardo fisso su Gesù, che è artefice e motivo della nostra fede, perché forti del suo esempio non ci perdiamo d’animo. Ma sapendo anche che lingue del suo fuoco scendono su di noi come a Pentecoste!

 

Se questa fede non ci risparmia di essere messi alla prova e ci vuole militanti e combattivi, ci è detto chiaramente a chi e a cosa guardare, e non ci è lecito cambiare obiettivi di lotta: una lotta che non è contro nessuno o a difesa di posizioni di potere, ma è disponibilità alla croce e a sopportare una così grande ostilità dei peccatori, assediati come siamo dal peccato. Realisticamente, siamo invitati a riconoscere che non abbiamo ancora resistito fino al sangue nella lotta contro il peccato. È chiaro che parlando di “peccato” c’è da evitare mitizzazioni di questa parola: o come qualcosa da esorcizzare magicamente e strumentalmente, o nel senso di categoria religiosa vuota da lasciar tranquillamente cadere. Nel primo caso c’è un uso strumentale di condizionamento psicologico, nel secondo caso c’è una sottovalutazione altrettanto dannosa della situazione effettiva di peccato del mondo.

 

Purtroppo, invece di tenere lo sguardo fisso su Gesù e capire attraverso di lui e la sua lotta la realtà del peccato nel mondo, succede di guardare a lui alla luce e in funzione del peccato posto al centro di una certa mentalità religiosa diffusa e dalla quale uscire, se vogliamo che la Parola di Dio abiti tra noi uomini. (ABS)


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