24 ottobre 2021 - XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)

 

Vasilij Ivanovič Surikov: La guarigione del cieco di Gerico (1888)

Accademia teologica ortodossa di Mosca

 

 

PRIMA LETTURA (Geremia 31,7-9)

Così dice il Signore:
«Innalzate canti di gioia per Giacobbe,
esultate per la prima delle nazioni,
fate udire la vostra lode e dite:
“Il Signore ha salvato il suo popolo,
il resto d’Israele”.
Ecco, li riconduco dalla terra del settentrione
e li raduno dalle estremità della terra;
fra loro sono il cieco e lo zoppo,
la donna incinta e la partoriente:
ritorneranno qui in gran folla.
Erano partiti nel pianto,
io li riporterò tra le consolazioni;
li ricondurrò a fiumi ricchi d’acqua
per una strada dritta in cui non inciamperanno,
perché io sono un padre per Israele,
Èfraim è il mio primogenito».

 

SALMO RESPONSORIALE (Salmo 125)


Rit. Grandi cose ha fatto il Signore per noi.

 

Quando il Signore ristabilì la sorte di Sion,
ci sembrava di sognare.
Allora la nostra bocca si riempì di sorriso,
la nostra lingua di gioia.

Allora si diceva tra le genti:
«Il Signore ha fatto grandi cose per loro».
Grandi cose ha fatto il Signore per noi:
eravamo pieni di gioia.

Ristabilisci, Signore, la nostra sorte,
come i torrenti del Negheb.
Chi semina nelle lacrime
mieterà nella gioia.

Nell’andare, se ne va piangendo,
portando la semente da gettare,
ma nel tornare, viene con gioia,
portando i suoi covoni.

 

SECONDA LETTURA (Ebrei 5,1-6)

 

Ogni sommo sacerdote è scelto fra gli uomini e per gli uomini viene costituito tale nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati.

Egli è in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nell’ignoranza e nell’errore, essendo anche lui rivestito di debolezza. A causa di questa egli deve offrire sacrifici per i peccati anche per se stesso, come fa per il popolo.

Nessuno attribuisce a se stesso questo onore, se non chi è chiamato da Dio, come Aronne. Nello stesso modo Cristo non attribuì a se stesso la gloria di sommo sacerdote, ma colui che gli disse: «Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato», gliela conferì come è detto in un altro passo:

«Tu sei sacerdote per sempre,

secondo l’ordine di Melchìsedek».

 

VANGELO ( Marco 10,46-52)

In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!».

Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!».

Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù.

Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.

 

 

In altre parole…

 

Chiediamoci come vengono recepite le parole di promessa e di speranza del profeta Geremia: come utopia, come momentanea consolazione, come rinvio all’al di là, o nella loro verità di Parola di Dio? Non però come scadenza storica, perché più di 2000 anni sarebbero bastati perché si avverassero in pieno; non come evento ultraterreno che non promette nulla di buono per questo nostro mondo; ma come in realtà esse sono, Parola di Dio, qualcosa che si realizza dentro le vicende della vita come lievito di rigenerazione. Ma quanto vale e quanto regge per noi questa visione di un diverso mondo possibile, tanto da innalzare canti di gioia ed esultare? Ci viene infatti prospettato un ritorno dalla schiavitù e dalla dispersione verso una terra con fiumi ricchi d’acqua e “per una strada dritta in cui non inciamperanno”. Un raduno di grande folla in cui c’è posto per “il cieco e lo zoppo, la donna incinta e la partoriente”.

 

Il Signore che suscita questa visione per bocca del profeta si dichiara “un padre per Israele”, che considera come un primogenito tra le nazioni. A questo sentimento di padre e figlio, che è insito nel cuore di ogni uomo, fa riscontro una presa di coscienza che porta a dire: “Il Signore ha salvato il suo popolo, il resto d’Israele”. Ed è qui il vero motivo della esultanza e della consolazione, non come godimento immediato ma nella speranza: “lieti nella speranza” (Rm 12,12), “poiché nella speranza noi siamo stati salvati” (Rm 8,24).

 

Spesso facciamo della fede una questione di adesione teorica a delle verità dogmatiche, e dimentichiamo facilmente che si tratta soprattutto del fondamento e garanzia delle realtà sperate e che essa è esercizio ed esperienza di speranza, di ricerca e di attesa di ciò che non si vede. Infatti, “ciò che si spera, se visto, non è più speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe ancora sperarlo?” (Rm 8,24). Essere testimoni dell’invisibile: ecco quale dovrebbe essere la presenza dei credenti nel mondo!

 

Conosciamo la poesia di Trilussa “La fede”, che parla di quella vecchietta cieca, che si offre da guida a chi nella notte è sperso in mezzo al bosco, e che non può non trovare strano che una non-vedente si offra a fargli da guida, per sentirsi rispondere: “Cammina”… era la fede! Questa facoltà di guida della fede non è altro che il “sensus fidei” (la percezione del credere) che è proprio del Popolo di Dio, e che è necessario ravvivare e attivare con responsabilità, se davvero si vuol dare vita ad un Sinodo che nasca dal basso.

 

Che tra la folla ricondotta in patria ci siano il cieco e lo zoppo, la donna incinta e la partoriente lascia pensare a Gesù che esce da Gerico con i suoi discepoli e che è seguito da molta folla. Solo il cieco Timeo sembra impedito a seguirlo insieme agli altri, costretto a rimanere ai bordi della strada a mendicare. D’altra parte, Gesù, diversamente da altre volte, passa senza degnarlo di uno sguardo. Ma è lui, il cieco, che, venendo a sapere che a passare di lì era Gesù Nazareno a portarsi dietro tutta quella gente, a farsi sentire, gridando a più non posso : “Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!”.

 

Gesù è attorniato dai suoi discepoli, sempre refrattari al suo insegnamento sul destino del Figlio dell’uomo; è seguito da una grande folla come taumaturgo, che non sa fare altro che mettere a tacere quel cieco, che però grida ancora più forte, ripetendo le stesse parole. Evidentemente aveva maturato dentro quella speranza messianica, secondo cui ai ciechi sarebbe stata ridata la vista del cuore e degli occhi. Il suo grido arriva alle orecchie di Gesù, che lo fa chiamare a sé, per chiedergli semplicemente cosa si aspettava da lui. Nient’altro che vederci di nuovo, che è quanto avviene immediatamente, quando la luce interiore della sua fede diventa luce anche degli occhi, e si affianca alla folla che forse nel cuore cercava quella stessa luce!

 

Siamo portati a dire che la fede non è necessariamente appannaggio di chi affianca  Gesù come i discepoli, né semplice retaggio della religiosità di massa: è piuttosto diventare “amici di Dio” come Abramo, dando credito alla sua Parola. Per noi questa Parola è lo stesso Gesù Nazareno, il Verbo fatto carne che ha abitato tra noi e percorso le nostre strade, e che è “autore e perfezionatore della fede” (Eb 12,2). È lui che ci chiama amici e fa da tramite tra noi e il Padre. Quando si dice che la fede è un dono,  lo è come è dono l’amicizia: alleanza e solidarietà!

 

Qualcosa che chiama in causa il sacerdozio come mediazione tra Dio e gli uomini: non però per auto-canditatura, né in forza di una legge o casta sacerdotale, ma in quanto fiduciari di Dio stesso. In questo senso, neanche “Cristo attribuì a se stesso la gloria di sommo sacerdote, ma colui che gli disse: Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato, gliela conferì come è detto in un altro passo: Tu sei sacerdote per sempre, secondo l’ordine di Melchìsedek”. Qualcosa di cui bisogna imparare a tener conto: che Gesù è sì sommo sacerdote come “mediatore di una nuova alleanza” (Eb 9,15),  ma lo è in persona col suo stesso corpo, nella sua stessa esistenza e non per qualche legittimazione o consacrazione aggiuntiva.

 

Se ora, grazie alla convocazione sinodale di tutta la chiesa, il Popolo di Dio è chiamato ad essere più che mai “popolo sacerdotale” nel mondo, non è in forza di ministeri speciali, ma unicamente attraverso la sua incorporazione a Cristo, salvo poi una opportuna differenziazione di compiti nel comune esercizio del suo stesso sacerdozio! Una semplice considerazione ci può aiutare: è ormai riconosciuto il primato del Popolo di Dio rispetto all’ordinamento gerarchico della chiesa. Questo vuol dire, di conseguenza, che anche il “Popolo sacerdotale”  è primario rispetto ai ministeri che ne sono espressione.

 

Guardando “La guarigione del cieco di Gerico” di Vasilij Ivanovič Surikov, abbiamo una immagine di Gesù quasi incurante di quanti alle sue spalle scrutano il suo operare, mentre egli è tutto intento ad esaudire la richiesta di Timeo, che sembra affidarsi totalmente a lui. Per questo si sente dire: “«Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada”. Una volta salvati dalla fede e riacquistando la luce della mente e degli occhi, seguire Gesù lungo le strade della vita e del mondo: ecco quale dovrebbe essere il nostro sinodo! (ABS)


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