7 novembre 2021 - XXXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)

 

 

James Tissot: L’obolo della vedova (1886-1894)

New York, Brooklyn Museum

 

 

PRIMA LETTURA (1Re 17,10-16)

In quei giorni, il profeta Elia si alzò e andò a Sarèpta. Arrivato alla porta della città, ecco una vedova che raccoglieva legna. La chiamò e le disse: «Prendimi un po’ d’acqua in un vaso, perché io possa bere».

Mentre quella andava a prenderla, le gridò: «Per favore, prendimi anche un pezzo di pane». Quella rispose: «Per la vita del Signore, tuo Dio, non ho nulla di cotto, ma solo un pugno di farina nella giara e un po’ d’olio nell’orcio; ora raccolgo due pezzi di legna, dopo andrò a prepararla per me e per mio figlio: la mangeremo e poi moriremo».

Elia le disse: «Non temere; va’ a fare come hai detto. Prima però prepara una piccola focaccia per me e portamela; quindi ne preparerai per te e per tuo figlio, poiché così dice il Signore, Dio d’Israele: “La farina della giara non si esaurirà e l’orcio dell’olio non diminuirà fino al giorno in cui il Signore manderà la pioggia sulla faccia della terra”».

Quella andò e fece come aveva detto Elia; poi mangiarono lei, lui e la casa di lei per diversi giorni. La farina della giara non venne meno e l’orcio dell’olio non diminuì, secondo la parola che il Signore aveva pronunciato per mezzo di Elia.



SALMO RESPONSORIALE (Salmo 145)

Rit. Loda il Signore, anima mia.

 

Il Signore rimane fedele per sempre
rende giustizia agli oppressi,
dà il pane agli affamati.
Il Signore libera i prigionieri.

Il Signore ridona la vista ai ciechi,
il Signore rialza chi è caduto,
il Signore ama i giusti,
il Signore protegge i forestieri.

Egli sostiene l’orfano e la vedova,
ma sconvolge le vie dei malvagi.
Il Signore regna per sempre,
il tuo Dio, o Sion, di generazione in generazione.

 

 

SECONDA LETTURA ( Ebrei 9,24-28)

Cristo non è entrato in un santuario fatto da mani d’uomo, figura di quello vero, ma nel cielo stesso, per comparire ora al cospetto di Dio in nostro favore. E non deve offrire se stesso più volte, come il sommo sacerdote che entra nel santuario ogni anno con sangue altrui: in questo caso egli, fin dalla fondazione del mondo, avrebbe dovuto soffrire molte volte.

Invece ora, una volta sola, nella pienezza dei tempi, egli è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso. E come per gli uomini è stabilito che muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio, così Cristo, dopo essersi offerto una sola volta per togliere il peccato di molti, apparirà una seconda volta, senza alcuna relazione con il peccato, a coloro che l’aspettano per la loro salvezza.

 

VANGELO ( Marco 12,38-44)

In quel tempo, Gesù [nel tempio] diceva alla folla nel suo insegnamento: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa».

Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo.

Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».



 

In altre parole…

 

Leggendo il passo 1Re 17,10-16 viene da pensare dove passa e come arriva la grazia di Dio in mezzo a noi! Non è sorprendente che la “Sacra Scrittura”, che noi veneriamo, registri un fatto del tutto casuale, che sfida la ragione e il nostro stesso buon senso? Che l’uomo di Dio, il profeta Elia, si rivolga proprio ad una povera vedova che sta raccogliendo un po’ di legna, per chiedere da bere e anche da mangiare? È come chiedere l’elemosina ai poveri! Evidentemente, in questo improbabile incontro opera una potenza misteriosa, che si sprigiona improvvisa per una scintilla di condivisione e di solidarietà in un incontro di vita.

 

Quando Elia chiede da bere, vediamo Gesù con la Samaritana al pozzo di Giacobbe, e quando chiede anche del pane viene da ripensare a quando Gesù dice ai discepoli di portargli i pochi pani di un ragazzo  presente nella folla: quella folla di cui sentiva compassione (Mt 14,18). Sembra quasi che ci venga richiesto proprio ciò di cui noi abbiamo bisogno, per poterlo poi ottenere moltiplicato: di offrire ciò che ci è necessario per poterlo riavere in abbondanza! C’è una sorta di transustanziazione in ciò che riconosciamo e offriamo come dono.

 

Se ora cerchiamo di capire cosa avviene nello scambio tra Elia e la vedova, è per evitare che si ritenga il fatto solo come episodio prodigioso e non come gesto rivelativo del mistero profondo del dono come sostanza di vita. La donna va a prendere l’acqua che ha, ma poi, sulla parola di Elia, offre anche il pane che non ha. Nella sua indigenza fa presente di avere quanto basta per lei e per il figlio, per ritardare di poco la morte. In questa situazione-limite di disperazione, ella trova la forza interiore di affidarsi alla parola del profeta, che a sua volta si avvale della Parola di Dio, secondo cui “la farina della giara non si esaurirà e l’orcio dell’olio non diminuirà fino al giorno in cui il Signore manderà la pioggia sulla faccia della terra”! Cosa che puntualmente si avvera, “secondo la parola che il Signore aveva pronunciato per mezzo di Elia”.

 

Dove si evince che il significato e la forza intrinseca del fatto sta proprio in questa Parola che attraversa il cuore di Elia e di quella donna, che ha nel credere l’unica sua risorsa: una Parola che è spirito e vita, “il mormorio di un vento leggero” (1Re 19,12) in cui Elia fuori della caverna riconoscerà il passaggio del Signore! È quanto di impercettibile passa anche dal nostro cuore e vuole trovare ascolto per diventare di nuovo parola profetica.

 

Che questa sia la storia segreta di ciascuno di noi – di ogni cuore umano – ce ne dà conferma il passo del vangelo, dove Gesù ci mette in guardia dagli scribi, che puntano tutto sull’apparire, e nella loro ipocrisia riescono a conciliare il furto di case alle vedove con lunghe preghiere per farsi vedere. È un modo di fare che ci mette del tutto fuori dalla lunghezza d’onda della Parola e dello Spirito di Dio. Ma a Gesù non sfugge il comportamento quasi furtivo e imbarazzato di una povera vedova che, in mezzo a tanti ricchi che ostentano le loro laute offerte nel tesoro del tempio, offre solo due monetine che fanno un soldo.  E lo immortale per sempre. Come a voler prefigurare il dono totale che farà di sé.

 

Questa volta Gesù non chiede pronunciamenti di altri su questi diversi atteggiamenti degli scribi e della vedova; ci dà lui stesso il criterio per giudicare il valore delle loro offerte, quella abbondante dei ricchi che danno del loro superfluo, e quella della vedova, che dà tutto quello che ha, il necessario per vivere. Ciò che conta, in relazione a Dio e agli uomini,  non è la quantità del dono, ma quanto esso esprime  e trasmette del dono di se all’altro senza riserve: quanto c’è del nostro nel donare. Non è altro che la concretezza dell’amore di Dio e del prossimo, come ci insegna il samaritano!

 

In termini più elaborati e solenni, è quanto Gesù stesso fa e dice nell’ultima cena lavando i piedi ai discepoli. Ma anche il racconto  del  l’obolo della vedova non manca  di un risvolto profondo: sfidando l’irrisione e magari le battute dei molti ricchi presenti, una povera donna investe i suoi ultimi spiccioli di umana sicurezza  per abbandonarsi interamente  nelle mani di Dio. È così che viene concluso da Marco il racconto dell’attività pubblica di Gesù e del suo insegnamento sul  Figlio dell’uomo nelle mani degli uomini, per passare alla narrazione degli ultimi eventi e della sua  passione e morte.

 

Per capire meglio quale è la via più sicura che porta a Dio, al di là di ogni autoesaltazione e millanteria, possiamo riconsiderare l’episodio del fariseo e del pubblicano al tempio (Lc 18,10-14). E così siamo portati a comprendere meglio il senso del dono che Gesù fa di sé, e che noi siamo soliti chiamare “sacrificio”. Sì, in ultima analisi è anche un sacrificio, ma solo in quanto dono ed offerta di sé. Egli infatti entra nel cielo stesso, “per comparire al cospetto di Dio in nostro favore”: nel senso che apre anche  a noi la “via nuova e vivente che egli ha inaugurato per noi attraverso il velo, cioè la sua carne” (Eb 10,20), e non con sangue altrui, ma col proprio sangue una volta per tutte.

 

Quello che ci rimane da comprendere è che “nella pienezza dei tempi, egli è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso”. Parole che possiamo leggere alla luce di queste altre in Ebrei 10,10: “Ed è appunto per quella volontà che noi siamo stati santificati, per mezzo dell'offerta del corpo di Gesù Cristo, fatta una volta per sempre”. Se proprio vogliamo mantenere una visione sacrificale, è nel senso di questa volontà di Cristo, che fa sua la volontà salvifica del Padre e che si consegna volontariamente nelle mani degli uomini. C’è di che meditare, per rivitalizzare le nostre concezioni in proposito.

 

Ed è veramente un peccato che questi contenuti vitali ed essenziali della fede cristiana siano solo vaghe reminiscenze, insieme di frasi fatte, retaggio religioso senza più verità, messaggio misterico buono solo per iniziati, quando invece sono sostanza del credere e dono di salvezza. Sembra che essere cristiani oggi significhi per un verso dedicarsi a pratiche religiose e per altro verso impegno verso il mondo per dare risposte “da cristiani”. Meno invece compenetrarsi con l’opera di Dio nel mondo e nei nostri confronti come se fossero miti.

 

Proviamo a metterci nella prospettiva di queste altre parole e chiediamoci quale risonanza e ricaduta possono avere nella nostra vita: “Cristo, dopo essersi offerto una sola volta per togliere il peccato di molti, apparirà una seconda volta, senza alcuna relazione con il peccato, a coloro che l’aspettano per la loro salvezza”.   (ABS)


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