19 settembre 2021 - XXV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)

 

Edward Henry Potthast: Bambini che giocano (1910-15)

Collezione privata

 

 

PRIMA LETTURA ( Sapienza 2,12.17-20)

[Dissero gli empi:]
«Tendiamo insidie al giusto, che per noi è d’incomodo
e si oppone alle nostre azioni;
ci rimprovera le colpe contro la legge
e ci rinfaccia le trasgressioni contro l’educazione ricevuta.

Vediamo se le sue parole sono vere,
consideriamo ciò che gli accadrà alla fine.
Se infatti il giusto è figlio di Dio, egli verrà in suo aiuto
e lo libererà dalle mani dei suoi avversari.
Mettiamolo alla prova con violenze e tormenti,
per conoscere la sua mitezza
e saggiare il suo spirito di sopportazione.
Condanniamolo a una morte infamante,
perché, secondo le sue parole, il soccorso gli verrà».

 

SALMO RESPONSORIALE (Salmo 53)

Rit. Il Signore sostiene la mia vita.

 

Dio, per il tuo nome salvami,
per la tua potenza rendimi giustizia.
Dio, ascolta la mia preghiera,
porgi l’orecchio alle parole della mia bocca.

Poiché stranieri contro di me sono insorti
e prepotenti insidiano la mia vita;
non pongono Dio davanti ai loro occhi.

Ecco, Dio è il mio aiuto,
il Signore sostiene la mia vita.
Ti offrirò un sacrificio spontaneo,
loderò il tuo nome, Signore, perché è buono.

 

 

SECONDA LETTURA ( Giacomo 3,16-4,3)

Fratelli miei, dove c’è gelosia e spirito di contesa, c’è disordine e ogni sorta di cattive azioni. Invece la sapienza che viene dall’alto anzitutto è pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, imparziale e sincera. Per coloro che fanno opera di pace viene seminato nella pace un frutto di giustizia.

Da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che fanno guerra nelle vostre membra? Siete pieni di desideri e non riuscite a possedere; uccidete, siete invidiosi e non riuscite a ottenere; combattete e fate guerra! Non avete perché non chiedete; chiedete e non ottenete perché chiedete male, per soddisfare cioè le vostre passioni.



VANGELO ( Marco 9,30-37)


In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.

Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti».

E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi +6++ha mandato».



In altre parole…

La parole degli empi, che leggiamo dal libro della Sapienza, non sono che la presentazione e interpretazione ante litteram del Crocifisso per antonomasia: il “Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani” (1Cor 1,23). In qualche modo, parole che vengono da lontano sono come una introduzione al libro della sapienza e potenza di Dio che è la Croce di Cristo, ed aiutano a cogliere qualche barlume di questo mistero.

La presenza del giusto in mezzo a noi non intralcia certamente i nostri progetti di successo ad ogni costo, ma è come fumo negli occhi che disturba, e fin dalle origini si ripete la storia di Caino e Abele: non possiamo permettere che qualcuno ci passi avanti anche senza volerlo e sia gradito a Dio. Il giusto c’è solo da prenderlo in parola, lui che dice di essere figlio di Dio. Stiamo a vedere se fa sul serio e se davvero il suo Dio lo libererà dalle nostre mani. C’è tutta la soddisfazione di una sfida impari a proprio favore. Questo dicono gli empi, e questo continua a ripetersi all’infinito sulla faccia della terra e sotto i nostri occhi!

È esattamente quello che si avvera sul Calvario, quando qualcuno dice “vediamo se viene Elia a liberarlo”, mentre altri si giocano a sorte la tunica! Anche lì, sotto il dramma di quei crocifissi, i sentimenti, gli atteggiamenti e i pronunciamenti sono i più diversi. Verrebbe da pensare ai ricorrenti dibattiti odierni sulla presenza o meno dei crocifissi nelle scuole o in ambiti pubblici, per chiederci con quale consapevolezza di fede trattare la questione, visto che il crocifisso è ridotto a simbolo o di devozione, o di identità, o di decorazione, in ogni caso di là di prassi, abitudini, convenzioni o difesa privo di qualunque incidenza esistenziale. Quanto siamo lontani da Paolo che dice: “Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi crocifisso” (1Cor 2,2).

Nessuna meraviglia, dunque, se Gesù torna a breve distanza a ripetere ai discepoli quale sia la sorte del Figlio dell’uomo, che “viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà”. Dopo che una prima volta aveva fatto questo discorso (cfr Mc 8,3031), con la reazione di Pietro che sappiamo, ancora una volta li isola dalla gente, per vedere se almeno loro riescono ad entrare in questa non facile prospettiva, col risultato però che “essi non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo”.

 

Giustamente si guardavano bene dal chiedere spiegazioni, visto come erano andate le cose per Pietro. Questo però non impedisce a Gesù, una volta in casa, di chiedere loro di che cosa stavano discutendo lungo la strada, dopo che aveva già detto a tutti di prendere la propria croce e di seguirlo, e mentre cercava di far intendere cosa volesse significare stare dietro a lui. Noi possiamo meravigliarci della indifferenza e della durezza di cuore della gente che stava sotto la croce, ma non è meno sorprendente il comportamento di questi discepoli, che vengono messi allo scoperto, quando Gesù chiede di cosa discutessero durante il cammino. Essi si guardano bene dal dirglielo, infatti discutevano di chi fosse il primo, il più grande, il più importante tra di loro: esattamente il contrario di quanto veniva loro insegnato e prospettato come vita di discepolo.

Ecco perché, in maniera ancora più solenne e lapidaria, Gesù dice loro come stanno e devono stare le cose tra loro in questi precisi termini: “Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti”. Ultimo e servitore di tutti: è questo il livello e lo stile della loro vita di discepoli! Ma davanti a tanta sorda loro resistenza a capire, li mette semplicemente davanti ad un gesto e ad una scena che dovrebbe aprire loro gli occhi: prende un bambino, lo mette in mezzo a loro e lo abbraccia! Come dire che deve essere così il rapporto con lui e tra di loro: lui che si immedesima con quel bambino e che essi devono accogliere come se accogliessero quel bambino, a cuore aperto, in semplicità, senza timori e riserve. Senza nessuna preoccupazione di chi sia il primo!

Egli vorrebbe che il nostro modo di stare con lui fosse come un gioco tra bambini, così come lo possiamo vedere nella interpretazione pittorica di Edward Henry Potthast: nella spontaneità, nella inventiva, nella gioia, nell’essere gli uni per gli altri, senza rivalità e in spirito di condivisione. È il suo sogno per l’intera famiglia umana: di ridarci questo spirito di infanzia come rinati figli del Padre. È quello che possiamo intuire dalle parole del libro dei Proverbi 8,31: ”Dilettandomi sul globo terrestre, ponendo le mie delizie tra i figli dell'uomo”. Ed è forse quello che Gesù ci vuole suggerire quando ci assicura che chi accoglie lui è come se accogliesse colui che lo ha mandato, appunto il Padre! Ma tutto questo è il frutto di una rinascita e di una vittoria, e quindi di una lotta.

È una lotta interiore prima che esteriore: infatti, guerre e liti che ci sono tra noi nascono dalle passioni che fanno guerra nelle nostre membra, per cui è tutto un affannoso darsi da fare per accaparrarsi e inseguire successi e sicurezze che ci sfuggono sempre di mano e non fanno che procurare amarezze a nostro ed altrui danno. L’impegno dunque è a vincere ogni gelosia e spirito di contesa e fare spazio alla sapienza che viene dall’alto, “pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, imparziale e sincera”.

Potremmo tornare con lo sguardo al Crocifisso - “a colui che hanno trafitto” (Gv 19,37), e interpretare queste parole alla luce di quanto la croce realizza ed esprime della sapienza di Dio: “Per coloro che fanno opera di pace viene seminato nella pace un frutto di giustizia”. (ABS)


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