3 luglio 2022 - XIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

 

Mary Cassatt: Madre e figlio (1908)

Philadelphia, Museum of Art



 

PRIMA LETTURA (Isaia 66,10-14)

Rallegratevi con Gerusalemme,
esultate per essa tutti voi che l’amate.
Sfavillate con essa di gioia
tutti voi che per essa eravate in lutto.
Così sarete allattati e vi sazierete
al seno delle sue consolazioni;
succhierete e vi delizierete
al petto della sua gloria.
Perché così dice il Signore:
«Ecco, io farò scorrere verso di essa,
come un fiume, la pace;
come un torrente in piena, la gloria delle genti.
Voi sarete allattati e portati in braccio,
e sulle ginocchia sarete accarezzati.
Come una madre consola un figlio,
così io vi consolerò;
a Gerusalemme sarete consolati.
Voi lo vedrete e gioirà il vostro cuore,
le vostre ossa saranno rigogliose come l’erba.
La mano del Signore si farà conoscere ai suoi servi».

 

SALMO RESPONSORIALE (Salmo 65)


Rit. Acclamate Dio, voi tutti della terra.

 

Acclamate Dio, voi tutti della terra,
cantate la gloria del suo nome,
dategli gloria con la lode.
Dite a Dio: «Terribili sono le tue opere!».

«A te si prostri tutta la terra,
a te canti inni, canti al tuo nome».
Venite e vedete le opere di Dio,
terribile nel suo agire sugli uomini.

Egli cambiò il mare in terraferma;
passarono a piedi il fiume:
per questo in lui esultiamo di gioia.
Con la sua forza domina in eterno.

Venite, ascoltate, voi tutti che temete Dio,
e narrerò quanto per me ha fatto.
Sia benedetto Dio,
che non ha respinto la mia preghiera,
non mi ha negato la sua misericordia.

 

 

SECONDA LETTURA (Galati 6,14-18)

Fratelli, quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo.

Non è infatti la circoncisione che conta, né la non circoncisione, ma l’essere nuova creatura. E su quanti seguiranno questa norma sia pace e misericordia, come su tutto l’Israele di Dio.

D’ora innanzi nessuno mi procuri fastidi: io porto le stigmate di Gesù sul mio corpo.

La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con il vostro spirito, fratelli. Amen.



VANGELO ( Luca 10,1-12.17-20)

In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi.

Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada.

In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra.

Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”. Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e dite: “Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino”. Io vi dico che, in quel giorno, Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città».

I settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome». Egli disse loro: «Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli».

 

 

In altre parole


Se riuscissimo a leggere e decodificare quanto è inscritto nel cuore umano da sempre, forse anche noi ci sorprenderemmo a desiderare un mondo pacificato e fraterno: una convivenza ordinata e feconda grazie a verità, libertà, giustizia e solidarietà, come ci ricorda la Pacem in terris. Magari lasceremmo svanire come un sogno questo mondo impossibile, perché impegnativo, lasciando che altri lo coltivino “religiosamente” fuori del mondo. Sta di fatto che di continuo la Scrittura ispira, alimenta e prospetta un mondo simile di pace, soprattutto nella storia, nella figura e nella visione di Gerusalemme, la città di Dio e della pace, Gerusalemme che è promessa, simbolo, approdo dell’intero Popolo di Dio nel tempo e oltre. Questa carica profetica si percepisce quando l’evangelista Luca ci dice che Gesù si incamminò risolutamente verso Gerusalemme, là dove la sua vicenda si consuma, perché Gerusalemme torni ad essere luogo e fonte di pace.

 

Guardandoci bene dentro, scopriremmo facilmente che le parole di Isaia sono state scritte per noi e quasi da noi, nel senso che interpretano il nostro sentire profondo, là dove la Parola di Dio risuona  e scarnifica allo stesso tempo. Ed allora è inevitabile, anche in clima oscuro di guerra e di eccidi, rallegrarsi con Gerusalemme per amore di colei che “è libera ed è la nostra madre” (Gal 4,26). Anche la nostra vicenda di credenti, come quella di Gesù, si gioca in rapporto a Gerusalemme, quando c’è da essere in lutto per essa, ma soprattutto quando dal suo seno materno possiamo succhiare il latte della consolazione e deliziarci al petto della sua gloria. L’immagine di Mary Cassatt Madre e figlio ci dà una forte spinta a tornare evangelicamente bambini e ritrovare il nostro attaccamento alla “chiesa madre”: questa dizione è ancora in uso, soprattutto nel sud, per indicare la chiesa originaria del luogo o simbolicamente Maria “madre della chiesa”.  Ma non sarebbe male se riacquistasse il suo senso originario di maternità effettiva di una chiesa viva e feconda, sia per ricordarci la nostra condizione di figli generati nella fede, e sia anche per richiamarci alla responsabilità di vincere ogni nostra sterilità e generare a nostra volta figli e figlie in Cristo.

 

Quando infatti sentissimo in qualche modo di essere allattati e portati in braccio, accarezzati e consolati in Gerusalemme, capiremmo che “la mano del Signore si farà conoscere ai suoi servi”. Ma come ci è dato di sperimentare questa maternità nei nostri confronti, dobbiamo a nostra volta incarnarla nei confronti di altri: Dio è Padre in quanto origine e fonte di ogni santità, ma si fa madre in quanto assume e manifesta la sua umanità, in Gerusalemme, in Maria figlia di Sion, nel Verbo fatto uomo, nella chiesa in relazione a Cristo, e anche attraverso di noi corpo di Cristo.  Giustamente san Paolo dice: “Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa!” (Ef 5,32). Se la paternità è il mistero intrinseco di Dio nel suo essere, la sua maternità è l’effusione e la partecipazione del suo agire attraverso mediazioni umane. Ancora  san Paolo ce lo testimonia quando dice: “Invece siamo stati amorevoli in mezzo a voi come una madre nutre e ha cura delle proprie creature” (1Ts 2,7). Prima ancora che di paternità, tutta la pastorale dovrebbe essere espressione di maternità!

 

Quando Gesù, dopo aver mandato i Dodici “ad annunciare il regno di Dio e a guarire gli infermi” (9,2), decide di inviare altri settantadue discepoli “a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi”, non è per ragioni di conquista, ma perché è il Pastore che si prende cura di ciascuna delle sue pecore. A questi discepoli Gesù fa subito presente la situazione in cui sono coinvolti: il campo di azione è sconfinato, ma gli operai saranno sempre pochi. Devono solo pregare il padrone della messe, non tanto perché ne aumenti il numero, ma perché quei pochi siano e si sentano mandati da lui, con la sua forza. Perché si tratta di andare come agnelli in mezzo ai lupi, sprovvisti di tutto e senza umane garanzie di compiacimento. Deve essere chiaro che la loro azione ha origini e motivazioni diverse. Quello che devono cercare prima di tutto è annunciare che il Regno di Dio è vicino: in gratuità, in spirito di adattamento, senza pretese, ma soprattutto in reciprocità.

 

Si tratta di un annuncio che non è solo informativo, né esplicativo, e cioè neutro: è diretto, personale e coinvolgente, tanto da richiedere una risposta di condivisione o meno, e in caso negativo è consentito riprendere le distanze e lasciare ciascuno al proprio destino. Se a volte pretendiamo che altri siano tenuti ad accettare il nostro messaggio, vuol dire che non annunciamo il Regno di Dio vicino, ma proponiamo qualche nostra verità! Al centro dell’annuncio c’è il saluto e il dono della pace, che deve creare l’incontro; diversamente non rimane che tornare sui propri passi e dirigersi altrove. Il modo in cui questa esigenza è espressa è molto indicativo per capire ancora meglio il senso di maternità della stessa missione: “In qualunque casa entriate, prima dite: ‘Pace a questa casa’. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi”. Si parla di “figlio della pace”, come chi cerca e opera la pace, e pertanto è chiamato figlio di Dio.  Sta di fatto che il contesto rimane quello dall’affabilità e della familiarità, salvo appunto il caso in cui qualcuno vi si neghi.

 

Certamente, se la missione è compiuta come mandato e col potere ricevuto, possono accadere fatti inverosimili, ma c’è sempre da stare attenti a non farsene un vanto.  C’è però da rallegrarsi che insieme a quello di altri, i nostri nomi siano scritti nei cieli: potremmo anche dire del fatto che diventiamo “concittadini dei santi e familiari di Dio” (Ef 2,19) nella Gerusalemme del cielo che è nostra madre. Se questo sentimento di maternità e di familiarità animasse la nostra missione e le nostre liturgie, forse sarebbe più facile cancellare forme di paternalismo e di clericalismo! Ma perché questo avvenga, sarebbe necessario uscire dall’assuefazione a rapporti predefiniti e ritrovare la spontaneità e  creatività che lo Spirito di Cristo suscita in noi.

 

Ancora una volta possiamo lasciarci ispirare da san Paolo, per capire cosa possiamo veramente far valere come punto di forza, e cioè “la croce del Signore nostro Gesù Cristo”: per lui tutta la storia e il destino del mondo sono racchiusi lì, tanto da sentirsi egli stesso un crocifisso per il mondo. Perché è sempre lì che la circoncisione o la non circoncisione - potremmo dire l’essere religiosi o meno - perdono significato e valore salvifico, e ciò che veramente conta è ritrovarsi creatura nuova in una nuova creazione. È qui ormai, in assoluto, la nuova norma di vita, fonte di benedizione per chi vi si attiene e per tutto l’Israele di Dio, per tutta la chiesa. Ma è anche qui, su questo punto, che ci sono dissensi e contrasti per Paolo, che però si sente ormai segnato dal Cristo Gesù, per cui è ormai inutile procurargli fastidi e contrasti su un punto così decisivo e irrinunciabile della sua fede. Non gli rimane che invocare questa grazia del Signore nostro Gesù Cristo su tutti i fratelli!

 

Dalla croce di Cristo nasce e scaturisce una nuova fraternità e una nuova maternità come nuova creazione o nuova famiglia umana: qualcosa che trova espressione viva nella consegna che Gesù fa di sua madre a Giovanni e di Giovanni a sua madre (cfr. Gv 19,25). Forse potremmo assumere questa scena come icona di una “chiesa madre”, mediatrice di pace e misericordia su tutto l’Israele di Dio. (ABS)


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