26 giugno 2022 - XIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

 

Giovanni SegantiniL’aratura (1890)

Monaco, Neue Pinakothek

 

 

PRIMA LETTURA (1 Re 19,16b.19-21)

 

In quei giorni, il Signore disse a Elìa: «Ungerai Eliseo, figlio di Safat, di Abel-Mecolà, come profeta al tuo posto».

Partito di lì, Elìa trovò Eliseo, figlio di Safat. Costui arava con dodici paia di buoi davanti a sé, mentre egli stesso guidava il dodicesimo. Elìa, passandogli vicino, gli gettò addosso il suo mantello.

Quello lasciò i buoi e corse dietro a Elìa, dicendogli: «Andrò a baciare mio padre e mia madre, poi ti seguirò». Elìa disse: «Va’ e torna, perché sai che cosa ho fatto per te».

Allontanatosi da lui, Eliseo prese un paio di buoi e li uccise; con la legna del giogo dei buoi fece cuocere la carne e la diede al popolo, perché la mangiasse. Quindi si alzò e seguì Elìa, entrando al suo servizio.

 

 

SALMO RESPONSORIALE (Salmo 15)

 

Rit. Sei tu, Signore, l'unico mio bene.

 

Proteggimi, o Dio: in te mi rifugio.

Ho detto al Signore: «Il mio Signore sei tu».

Il Signore è mia parte di eredità e mio calice:

nelle tue mani è la mia vita.

 

Benedico il Signore che mi ha dato consiglio;

anche di notte il mio animo mi istruisce.

Io pongo sempre davanti a me il Signore,

sta alla mia destra, non potrò vacillare.

 

Per questo gioisce il mio cuore

ed esulta la mia anima;

anche il mio corpo riposa al sicuro,

perché non abbandonerai la mia vita negli inferi,

né lascerai che il tuo fedele veda la fossa.

 

Mi indicherai il sentiero della vita,

gioia piena alla tua presenza,

dolcezza senza fine alla tua destra.

 

SECONDA LETTURA (Galati 5,1.13-18)

 

Fratelli, Cristo ci ha liberati per la libertà! State dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù.

Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Che questa libertà non divenga però un pretesto per la carne; mediante l’amore siate invece a servizio gli uni degli altri. Tutta la Legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: «Amerai il tuo prossimo come te stesso». Ma se vi mordete e vi divorate a vicenda, badate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri!

Vi dico dunque: camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne. La carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste.

Ma se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete sotto la Legge.

 

VANGELO (Luca 9,51-62)

 

Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme e mandò messaggeri davanti a sé.

Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l’ingresso. Ma essi non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme. Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». Si voltò e li rimproverò. E si misero in cammino verso un altro villaggio.

Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada». E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo».

A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». Gli replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio».

Un altro disse: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia». Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio».

 

 

In altre parole

Tutti sappiamo e diciamo che c’è una frattura generazionale in ogni ambito della vita, da quello familiare a quello ecclesiale. Anzi, là dove simile iato è più rilevante ed evidente è proprio nel contesto di pratica religiosa e di chiesa. A parte tutte le analisi del fenomeno e le tante soluzioni pastorali suggerite, rimane aperto il problema di comunicazione intrinseca della fede, che non è soltanto una questione di modalità e di mezzi, ma è questione di vitalità e di condivisione della fede stessa. Non sono sufficienti aggiustamenti interni per una maggiore efficacia pedagogica, se non è la fede stessa in qualche sua incarnazione (personale o comunitaria; ma cosa dicono oggi i luoghi tradizionali della fede?) ad irradiarsi al di fuori di sé e a rivelarsi per quello che è. Siamo già avvertiti che non possiamo ridare sapore al sale quando lo ha perso: e forse è il momento di interrogarci se la spinta a trasmettere la fede, intesa come potenza di Dio in noi, nasce dalla fede stessa o da altre preoccupazioni di affiliazione.

 

Quale allora la fede che preme per essere trasmessa? Quali condizioni di possibilità ci sono? Prima di voler introdurre qualcuno nel mondo della fede, è proprio questo mondo a doversi ristrutturare e diventare centro di ascolto e di irradiazione della Parola di Dio, che richiede appunto l’obbedienza della fede, e che non può trasformarsi in puro magistero dottrinale. Diciamoci francamente una cosa: se noi non fossimo già coinvolti e interni ad un certo sistema religioso, davvero diventeremmo credenti sulla base di come le cose si presentano e vengono presentate?

 

A suscitare simili interrogativi c’è la scena biblica e bucolica di Eliseo che sta arando tranquillamente il suo campo con i buoi e che si sente gettare addosso da Elia il suo mantello, quasi a sentirsi catturato per un destino che lo portava altrove: era lo stesso mantello con cui il profeta Elia si era coperto il volto non appena aveva avvertito il passaggio e la presenza del Signore sul monte Horeb. È sorprendente che il racconto di simili episodi abbia attraversato millenni e continui ad essere rivelativo di un  disegno di salvezza e del modo di operare dello Spirito di Dio nella storia, fino ad illuminare anche il nostro cammino. Elia era già stato preparato all’incontro con la vedova di Sarepta, che infatti lo accoglie come profeta. Ora riceve il mandato di andare ad “ungere” Eliseo “come profeta al suo posto”, lui che aveva detto “sono rimasto io solo, eppure essi cercano di togliermi la vita” (1Re 19,14). Non cercava altro che tenere viva la fede di Israele.

 

La consegna perciò era tutt’altro che  facile da accettare e richiedeva ad Eliseo un taglio radicale alla propria esistenza, per mettersi a totale servizio della impercettibile Parola di Dio, cosa che egli testimonia con la sua decisione e con i suoi gesti, compreso il distacco dal padre e dalla madre. Ci viene dimostrato come lo stesso spirito profetico passi dall’uno all’altro, se siamo terreno ben arato e se siamo tutti intenti a guardare avanti nella nostra aratura! Pronti a prendere  sul serio e con spirito di servizio quanto la vita ci dona e ci chiede! Possiamo pensare che per assicurare continuità al credere ci sia un modo diverso da un coinvolgimento interpersonale e da una comunicazione di spirito viva ed efficace? Non sottovalutiamo troppo il libero rapporto personale per affidarci a formule convenzionali o ad artifici comunicativi? Sono veramente troppi i “Baal” rassicuranti che ci vogliono devoti!

 

A questo punto potremmo limitarci ad un’attenta lettura del passo evangelico, per capire quale radicalità e quale disponibilità - quale libertà interiore - si richieda perché lo Spirito di Gesù passi ai suoi discepoli ed essi possano continuare il suo cammino, appunto mettersi alla sua sequela, così come Eliseo a servizio di Elia. Ma quando si parla di sequela bisogna stare molto attenti: non si tratta di aderire ad una dottrina di vita, ad un insegnamento etico, né di imitazione di una esistenza esemplare: si tratta di scelte da condividere totalmente in una sorta di transfert; si tratta di fare proprie le decisioni, i sentimenti di colui del quale ci mettiamo a servizio per cooperare alla sua missione. La sequela è farsi discepoli di colui che fa di noi un Popolo messianico! È compiere con lui la sua opera, perché egli possa continuarla in noi. Sequela di Cristo è fare nostra la sua obbedienza al Padre attraverso la obbedienza della nostra fede in lui. Siamo sul piano della scommessa più che della ragionevolezza, che è il piano in cui si muove e agisce il Cristo!

 

Mentre si compiono i giorni della sua elevazione - sulla croce e nella gloria - egli si dirige verso Gerusalemme, “perché non è possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme” (Lc 13,33), come egli stesso dice in risposta ad Erode. Si aspetta che  almeno i suoi si mettano in cammino con lui nel viaggio che li porta a Gerusalemme, con tutto quello che questo poteva significare. Sta di fatto che proprio questo nome li espone alle prime contrarietà, tant’è che a motivo di ciò non vengono accolti in un villaggio di samaritani, ciò che suscita le ire vendicative di Giacomo e Giovanni, che però sono rimproverati duramente. Ma il cammino continua, magari scuotendo la polvere dai loro calzari, per andare altrove. Non era facile partecipare alle disavventure di quell’uomo, che peraltro li aveva chiamati a seguirlo e li stava pazientemente trasformando per farne dei pescatori di uomini.

 

Quando l’iniziativa di seguirlo nasce da una propria scelta, è il momento in cui si viene quasi scoraggiati e siamo messi davanti alla nuda realtà a cui si andrebbe incontro: “Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”. Non sappiamo se quel tale l’abbia poi seguito, ma sappiamo la storia del giovane ricco che si tira indietro. Così come sappiamo che a chi egli dice di seguirlo non è consentito di porre tempo in mezzo e aspettare la morte del padre per sistemare le proprie cose. L’improvviso e imprevisto “seguimi” passa avanti a tutto, e gli altri continuino pure a sbrigare le loro faccende, mentre l’imperativo primario è di andare ed annunciare il regno di Dio: che non è una pratica o un mestiere, ma consacrazione totale.

 

In questa rassegna tipologica della sequela che Luca ci presenta, ecco farsi avanti un altro volenteroso che chiede soltanto di congedarsi da quelli di casa sua, senza porre intralci o ritardi. Ma anche lui deve sentirsi rispondere drasticamente: “Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio”. La bella immagine del Segantini, L’aratura, lascia intuire quale compenetrazione sia necessaria per chi mette mano all’aratro. Diventare adatti per il Regno di Dio richiede una liberazione totale da interessi, da vincoli, da dipendenze, da sudditanze, e da personali motivazioni anche le più valide, per avere la piena libertà di spendersi senza remore e senza condizionamenti per il Regno, niente altro di quanto Gesù stesso era intento a fare al di là di ogni altra preoccupazione di consenso e di successo: a dover emergere e valere è l’avvento del Regno nella sua effettuazione quotidiana: non si tratta di ideali di perfezione, di spiritualità sofisticate, di elevazioni mistiche programmate, ma solo di momenti di grazia a cui prestarsi con tutto il cuore.

 

Si capisce allora il richiamo di Paolo - quasi grido di vittoria - quando ci ricorda: “Fratelli, Cristo ci ha liberati per la libertà…! Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà”. È un po’ come la potatura della vite perché porti più frutto: tanti tagli richiesti dalla sua sequela hanno questo unico scopo: di rimetterci in condizione di scegliere in libertà e di operare la scelta decisiva, perché “mediante l’amore siate invece a servizio gli uni degli altri”. Il discepolo si rivela nella sua libertà, e molto realisticamente ci viene detto: “Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” (Gv 8,31-32). Potrebbe essere questo lo statuto della sequela e la legge del discepolo!

 

Ma proprio perché di fatto non siamo impostati e orientati in questo senso, e cioè secondo libertà, siamo portati a lasciarci “imporre di nuovo il giogo della schiavitù” attraverso la legge, le appartenenze, la mentalità di gregge. Oppure può succedere che di questa libertà se ne faccia un pretesto per far valere noi stessi fino a divorarci a vicenda! Ma se davvero impariamo a lasciarci guidare dallo Spirito di Cristo, magari siamo sotto la croce, ma non sotto il dominio della “carne” o dell’uomo vecchio. L’esercizio di questa libertà si estrinseca nell’unico precetto dell’amore. Ma quanto il comandamento di amarci gli uni gli altri è proposto come la “legge perfetta, la legge della libertà” (Gco 1,25) – e quindi come qualcosa che nasce dentro - e non invece come semplice ideale etico facoltativo poco praticabile?

 

Se la predicazione del vangelo è “grazia e verità”, è facile che possa coinvolgere altri attraverso una condivisione vissuta; se invece risuona prevalentemente come “legge” (confessionale, religiosa, ecclesiale, etica, spirituale…), certamente può rassicurare quanti sono all’interno, ma non consente ad altri la libera partecipazione. Se perciò vogliamo porci il problema della trasmissione della fede, forse è la trave dal nostro occhio che bisogna rimuovere, per poter intervenire credibilmente sull’occhio dell’altro! (ABS)   


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