3 aprile 2022 - V DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO C)

 

Pieter Brueghel il Giovane: Cristo e la donna colta in adulterio (ca. 1600)

Philadelphia, Museum of Art 

 

 

PRIMA LETTURA (Isaia 43,16-21)

Così dice il Signore,
che aprì una strada nel mare
e un sentiero in mezzo ad acque possenti,
che fece uscire carri e cavalli,
esercito ed eroi a un tempo;
essi giacciono morti, mai più si rialzeranno,
si spensero come un lucignolo, sono estinti:
«Non ricordate più le cose passate,
non pensate più alle cose antiche!
Ecco, io faccio una cosa nuova:
proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?
Aprirò anche nel deserto una strada,
immetterò fiumi nella steppa.
Mi glorificheranno le bestie selvatiche,
sciacalli e struzzi,
perché avrò fornito acqua al deserto,
fiumi alla steppa,
per dissetare il mio popolo, il mio eletto.
Il popolo che io ho plasmato per me
celebrerà le mie lodi».


SALMO RESPONSORIALE (Salmo 125)


Rit. Grandi cose ha fatto il Signore per noi.

 

Quando il Signore ristabilì la sorte di Sion,
ci sembrava di sognare.
Allora la nostra bocca si riempì di sorriso,
la nostra lingua di gioia.

Allora si diceva tra le genti:
«Il Signore ha fatto grandi cose per loro».
Grandi cose ha fatto il Signore per noi:
eravamo pieni di gioia.

Ristabilisci, Signore, la nostra sorte,
come i torrenti del Negheb.
Chi semina nelle lacrime
mieterà nella gioia.

Nell’andare, se ne va piangendo,
portando la semente da gettare,
ma nel tornare, viene con gioia,
portando i suoi covoni.

 

 

SECONDA LETTURA (Filippesi 3,8-14)


Fratelli, ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore. Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, per guadagnare Cristo ed essere trovato in lui, avendo come mia giustizia non quella derivante dalla Legge, ma quella che viene dalla fede in Cristo, la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede: perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la comunione alle sue sofferenze, facendomi conforme alla sua morte, nella speranza di giungere alla risurrezione dai morti.

Non ho certo raggiunto la mèta, non sono arrivato alla perfezione; ma mi sforzo di correre per conquistarla, perché anch’io sono stato conquistato da Cristo Gesù. Fratelli, io non ritengo ancora di averla conquistata. So soltanto questo: dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la mèta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù.



VANGELO (Giovanni 8,1-11)

In quel tempo, Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro.

Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo.

Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani.

Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».



In altre parole…

 

Mentre noi facciamo tutto il possibile per avere Dio dalla nostra parte  e assicurarci il suo aiuto nei momenti più difficili della nostra vita, la sua Parola  continua a riproporci la sfida di sempre, da accettare e da rilanciare: è la sfida della fede che ci apre gli occhi su quanto la sua Parole opera e su quanto i credenti dovrebbero testimoniare e annunciare al mondo.

 

Non basta perciò sentirsi sollevati dalle parole di speranza che il profeta Isaia ci rivolge in nome del Signore, se queste vengono poi lasciate cadere come poesia e utopia in presenza di situazioni assurde e preoccupanti quali stiamo vivendo: se esse cioè non diventano per noi spirito e vita, verità e visione del mondo e della storia. Intanto è da tenere ben presente che a parlarci è colui che ha aperto una strada nel mare e un sentiero in mezzo ad acque possenti, via di salvezza per il suo popolo e luogo di morte  per i suoi oppressori.

 

È quando la fede non è solo reminiscenza per sentito dire e ripetere, ma si fa in ciascuno e in tutti memoria viva e fondamento di cose sperate: e quindi motivo condiviso di una esistenza umana di fede, di ascolto e di adempimento della Parola di Dio. Non è una pratica formale uguale per tutti, ma un processo di maturazione personale e collettivo che ha i suoi tempi e le sue leggi da rispettare, senza facili soluzioni identitarie ed esclusivismi di comodo. La linea di demarcazione tra credenti e non credenti non può mai essere un criterio esterno, ma è importante che una ricerca di verità e di fede sia sentita e vissuta da tutti, come impegno etico primario, e possa avere opportunità di verifica e di condivisione aperta nel dialogo.

 

Ma detto di chi ci parla per bocca del profeta e della memoria della sua opera da tenere viva, ecco quanto il Signore stesso dice al  popolo che egli ha plasmato per sé ed ha chiamato per celebrare le sue lodi: ad essere il segno e lo strumento della sua presenza nel mondo alla maniera di Cristo, prima che attraverso luoghi sacri e investiture dall’alto. Non a caso il popolo - l’eletto - è messianico, nel senso che nasce da una iniziativa di liberazione nella storia di Dio stesso, e nel senso che questo popolo deve farsi portatore di una speranza di liberazione per il mondo intero.

 

In realtà che credito riusciamo a dare noi alla prospettiva che Dio possa e voglia ripetere le sue gesta anche a nostro favore’? E che disponibilità dimostriamo quando volesse servirsi di noi per compiere la sua opera? Ci viene detto di non ricordare più le cose passate e antiche, quando fare memoria è solo per guardare al futuro; quando fede è apertura e proiezione in avanti senza riserve, dimensione inedita. È la capacità di cogliere tutta la potenza racchiusa in queste parole: “Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?”. Non possiamo lasciar cadere simile sfida!

 

Quando un mondo di certezze crolla e noi siamo costretti e vederne le macerie, il senso più profondo della fede – al di là di ogni enfasi e retorica - è proprio quello di accorgerci di quanto germoglia di nuovo, fosse pure un filo d’erba tra le pietre. E questo è tanto più vero, se nell’Apocalisse, quando si parla di cieli nuovi e di terra nuova, ci vengono dette parole “fedeli e veritiere”: “E colui che siede sul trono disse: Ecco, io faccio nuove tutte le cose” (Ap 21,5).

 

È quando la fede fa il suo salto di qualità e diventa fede in Cristo, “sommo sacerdote dei beni futuri,… non di questa creazione” (Eb 9,11): si arriva a pensare e a dire che Gesù Cristo in persona è questo nuovo mondo, questa creazione nuova, questo universo liberato. “Se abbiamo sperato in Cristo per questa vita soltanto, noi siamo i più miseri fra tutti gli uomini” (1Cor 15,19). Ma potremmo anche parafrasare: se noi crediamo in Cristo solo per gli effetti temporali o sociali di questa fede, e non per la sua pienezza di verità e di grazia, saremmo da calpestare come il sale che ha perso il suo sapore!

 

Se questa è un’affermazione di principio relativa alla persona di  Cristo Gesù, di fatto questa novità di vita, di grazia e di verità traspare dai suoi comportamenti, dalle sue parole, dalle sue azioni, dalla sua stessa esistenza tra gli uomini. Lo possiamo osservare nella sua preghiera notturna nel monte degli ulivi e ascoltare nel tempio mentre insegna a tutto il popolo che va da lui. Ma egli non si sottrae alle imboscate dei suoi oppositori, e una povera donna rea di adulterio diventa per scribi e farisei strumento per metterlo alla prova davanti alla Legge di Mosè, nel caso osasse contraddirla, mentre sarebbe entrato in contraddizione con se stesso nel caso avesse decretato la lapidazione.

 

Il fatto che egli non risponda e si metta a scrivere qualcosa per terra è forse per richiamarli ad un’applicazione della Legge non per condannare o per asservirla ai propri intenti, ma per interpretarla come Scrittura valida per tutti come presa di coscienza e come correzione. Ma visto che quegli uomini del tempio e delle tradizioni insistevano, ecco l’imprevedibile sfida di Gesù: “Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei”. Come dire che nessuno può attribuirsi il diritto di giudicare e di condannare.

 

Ecco il fatto nuovo – ed il nuovo messaggio - che scaturisce da questo episodio: sollecitato a condannare, Gesù costringe scribi e farisei a defilarsi e rinunciare ad ogni velleità di condanna. Con una punta di giustificata ironia chiede alla donna: dove sono i tuoi accusatori? Non ti hanno condannata? Mettiamoci per un attimo nei panni di quella donna quando può rispondere che nessuno l’ha condannata. E soprattutto quando si sente dire da quel Gesù “neanch’io ti condanno”! Non viene da pensare ad una rinascita e ad una vita nuova grazie alla potenza del perdono? Una verità che porterà san Paolo ad affermare in Romani 8,1: “Non c'è dunque più nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù”. Non è e non sarebbe un mondo nuovo quando non ci fosse più tanta frenesia di condanna?

 

Se vogliamo avere una immagine di esistenza cristiana dal vivo, basta ascoltare quanto san Paolo ci dice in questo passo della lettera ai Filippesi del suo personale rapporto di fede con Cristo Gesù. Conoscere lui, guadagnare lui, avere grazie a lui il giusto rapporto con Dio, conformarsi alla sua morte nella speranza della risurrezione dai morti: tutto questo al di sopra di tutte le altre cose, che al confronto diventano spazzatura. Niente di sacrale, di cultuale, di liturgico, di celebrativo, ma solo esperienza, comunione e condivisione di vita: essere umani alla maniera di Cristo!

 

Se si tornasse ad interpretare la vita cristiana secondo questi parametri esistenziali, anche l’eucarestia e i sacramenti risulterebbero relativi e funzionali, come del resto sono per natura. Si smetterebbe di dire e di raccomandare, ad esempio, che l’eucarestia non può rimanere allo stato di sacramento ma deve essere calata nella vita! E se fosse vero il contrario, che la vita deve assurgere a sacramento? Sarebbe la conversione o rivoluzione pastorale invocata, a patto che ci siano persone libere disposte a dare vita ad una esistenza cristiana come meta da conquistare, una volta che siano state conquistate da Cristo Gesù. Tentare non nuoce! (ABS)


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