7 maggio 2023 - V DOMENICA DI PASQUA (ANNO A)

 

Cesare Giuliani: Cenacolo (2018)

Vasto, Chiesa di San Lorenzo Martire

 

 

 

PRIMA LETTURA (Atti degli Apostoli 6,1-7)

In quei giorni, aumentando il numero dei discepoli, quelli di lingua greca mormorarono contro quelli di lingua ebraica perché, nell’assistenza quotidiana, venivano trascurate le loro vedove.
Allora i Dodici convocarono il gruppo dei discepoli e dissero: «Non è giusto che noi lasciamo da parte la parola di Dio per servire alle mense. Dunque, fratelli, cercate fra voi sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di sapienza, ai quali affideremo questo incarico. Noi, invece, ci dedicheremo alla preghiera e al servizio della Parola».

Piacque questa proposta a tutto il gruppo e scelsero Stefano, uomo pieno di fede e di Spirito Santo, Filippo, Pròcoro, Nicànore, Timone, Parmenàs e Nicola, un prosèlito di Antiòchia. Li presentarono agli apostoli e, dopo aver pregato, imposero loro le mani.

E la parola di Dio si diffondeva e il numero dei discepoli a Gerusalemme si moltiplicava grandemente; anche una grande moltitudine di sacerdoti aderiva alla fede.

 

 

SALMO RESPONSORIALE (Salmo 32)


Rit. Il tuo amore, Signore, sia su di noi: in te speriamo.

 

Esultate, o giusti, nel Signore;
per gli uomini retti è bella la lode.
Lodate il Signore con la cetra,
con l’arpa a dieci corde a lui cantate.

Perché retta è la parola del Signore
e fedele ogni sua opera.
Egli ama la giustizia e il diritto;
dell’amore del Signore è piena la terra.

Ecco, l’occhio del Signore è su chi lo teme,
su chi spera nel suo amore,
per liberarlo dalla morte
e nutrirlo in tempo di fame.

 

SECONDA LETTURA (1Pietro 2,4-9)

Carissimi, avvicinandovi al Signore, pietra viva, rifiutata dagli uomini ma scelta e preziosa davanti a Dio, quali pietre vive siete costruiti anche voi come edificio spirituale, per un sacerdozio santo e per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, mediante Gesù Cristo. Si legge infatti nella Scrittura: «Ecco, io pongo in Sion una pietra d’angolo, scelta, preziosa, e chi crede in essa non resterà deluso».
Onore dunque a voi che credete; ma per quelli che non credono la pietra che i costruttori hanno scartato è diventata pietra d’angolo e sasso d’inciampo, pietra di scandalo. 

Essi v’inciampano perché non obbediscono alla Parola. A questo erano destinati. Voi invece siete stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere ammirevoli di lui, che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua luce meravigliosa.

 

 

VANGELO (Giovanni 14,1-12)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”? Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via».

Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?». Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto

Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre”? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere.

Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse.

In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre».



 

In altre parole…

 

Un piccolo gruppo di discepoli si ricostituisce via via intorno al Risorto, grazie alla sua azione di ripescaggio o di pastore in cerca le pecore disperse per riportarle a stare con lui. È il primo nucleo di una comunità che comincia a crescere subito dopo la prima uscita di Pietro. Ed ora ci viene confermato che in quei giorni aumentava il numero dei discepoli. Ma proprio per questo cominciano a nascere all’interno dissidi e incompatibilità. A contrapporsi sono i gruppi indicati come “di lingua greca” e “di lingua ebraica”, quindi una distinzione linguistica e culturale; ma il motivo era la discriminazione nel trattamento delle vedove e dei bisognosi nella comunità, in cui per principio veniva messo tutto in comune, ma poi la distribuzione era ad arbitrio.  Cosa quasi fisiologica in contesti comunitari, tutt’altro che da idealizzare in chiave religiosa!

 

Questo dato di fatto però non autorizza nessuno a soprassedere “per buona pace” sulle situazioni critiche, ma ci viene insegnato come intervenire e trovare una ricomposizione giusta e fraterna. Sono i Dodici stessi a prendere l'iniziativa e a differenziare i compiti, che probabilmente non riuscivano ad assolvere da soli in maniera soddisfacente con l’aumentare dei credenti. Si trattava del servizio delle mense e dell'assistenza ai bisognosi della comunità a cui non potevano provvedere più di persona. Ecco allora la convocazione del gruppo dei discepoli e la proposta di riservare per se stessi il servizio della Parola di Dio e di demandare ad “uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di sapienza” la cura dei poveri, non come attività separata e secondaria, ma sempre complementare all’azione unitaria e corresponsabile del servizio al vangelo.

 

Si fanno anche i nomi, tra cui Stefano e Filippo, che troveremo  poi in veste di veri e propri evangelizzatori. Siamo in presenza di un'autentica azione liturgica assembleare e laicale, a livello di relazioni e non di ruoli. Tant’è che “la parola di Dio si diffondeva e il numero dei discepoli a Gerusalemme si moltiplicava grandemente”. Se oggi si parla di comunità missionaria in seconda battuta, come traguardo ulteriore, diciamoci che basterebbe tornare alle origini, senza voler rimettere assieme pezzi di fatto incompatibili, come gerarchia e fedeli, clero e laici. Non si può ottenere qualcosa di diverso lasciando le cose come stanno e non bastano giustapposizioni.

 

Se ci chiediamo cosa bisogna avere a cuore e a cosa guardare per non rimanere vittime  di lotte intestine  sopite, è alla scuola di Gesù che dobbiamo tornare, lui che si trova ancora una volta, nel momento dell’addio nell’ultima cena, davanti all'incomprensione dei pochi rimastigli intorno, e comunque da riportare a lui e alla realtà per la quale li ha chiamati. Egli ci vuole rassicurare, esortandoci a credere in Dio e a credere anche in lui: ad essere certi che se egli sta per lasciarli è solo perché vuole creare ed offrire nuovi spazi e chance di esistenza, grazie appunto a questa fede.  In sostanza, è  per ricreare le condizioni di un rapporto nuovo e stabile tra loro,  qualcosa che quei discepoli dovevano essere in grado di valutare e di realizzare dopo tanti insegnamenti: una relazione di vita di cui avrebbero dovuto sapere la via o il modo per realizzarla.

 

Ma ecco ancora una volta la sorpresa di rendere conto di quanto non avessero capito, tanto da  dover rispondere a Tommaso che non c’è una particolare via spirituale  da adottare, ma che è lui stesso in persona questa via che introduce alla verità e alla vita, e cioè al Padre stesso, che dava per già conosciuto e visto da loro. Ma se Tommaso diceva di non sapere dove egli andasse, ecco la richiesta di Filippo di voler vedere questo Padre per chiudere il discorso. La risposta è alquanto spazientita, ma è l’occasione per ribadire che non si tratta di avere conoscenze e visioni in più, ma semplicemente di riconoscere e vedere lui, quello che fa e chi è: il suo modo di essere è una conferma continua del fatto che “Dio nessuno l'ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato” (Gv 1,18). È quello che quei discepoli avrebbero dovuto capire, mentre meritano il rimprovero fatto a Filippo con la relativa riaffermazione del dato di fatto: ”Come puoi tu dire: Mostraci il Padre? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me?”. Quello che lui dice e quello che lui fa sono parole e azioni del Padre stesso, è il Regno di Dio vicino, come del resto si erano sentiti ripetere: “Anche se non volete credere a me, credete almeno alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me e io nel Padre” (Gv 10,38).

 

Così si capisce cosa intendere quando ci viene detto di credere in Dio e credere in colui che egli ha mandato. Non è un'esortazione devota, un pio desiderio, ma è la realtà profonda a cui prestare fede, ancora una volta riaffermata: “Io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse”. Non si esce di qui, se non per andare per vie di fortuna e magari per abbandonarsi a mistiche di maniera, sempre sovrapposte alla verità lineare del vangelo. Ma c’è sorprendentemente di più, nel senso che tutto questo ha e deve avere una continuità in chi accede a questa fede, diciamo così trinitaria, che ci accomuna all’opera di Dio nel mondo. Senza mezzi termini, Gesù dice ai suoi e a noi: “Chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre”.

 

Questo spiega quanto già aveva detto in Luca 10,16, per renderci consapevoli della sinergia che c’è con lui: “Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me. E chi disprezza me disprezza colui che mi ha mandato” (Lc 10,16). Se si tornasse a questa realtà di fondo, non ci sarebbe bisogno da tante mistificazioni, moralismi, psicologismi. Il fatto è che questa verità è troppo sacralizzata e avulsa dal contesto quotidiano dell'esistenza, mentre è la sostanza del credere. Dobbiamo ancora renderci conto di quale forza dirompente sia la motivazione di questa nostra condizione di credenti: ”Perché io vado al Padre”! È abbastanza triste che tutto questo venga ritenuto accessorio e facoltativo rispetto ad un sistema religioso predefinito e primario nella estimazione comune, a favore di un cristianesimo di facciata!

 

Si preferisce un Cristo da celebrare e da adorare in maniera vistosa ed enfatica, piuttosto che sentirlo come “pietra viva, rifiutata dagli uomini ma scelta e preziosa davanti a Dio”, a cui avvicinarsi e incorporarsi a nostra volta come pietre vive per essere con lui un “edificio spirituale”: quello stesso tempio di Dio che Gesù avrebbe fatto risorgere in tre giorni, riferendosi al suo corpo messo a morte (cfr. Gv 2,19.21). Ed ecco allora Pietro rendere onore a coloro che credono e obbediscono alla Parola per essere “Popolo che Dio si è acquistato”: per vivere la propria condizione di credenti  senza troppi annessi e connessi, ma in spirito e verità. Non si può negare che abbiamo ormai una sovrastruttura stratificata di chiesa fatta di formule, di dichiarazioni, di manifestazioni, di celebrazioni, di solennità, dove la fede vissuta dei semplici è residuale e sommersa, e la fede ragionata di altri sembra solo un lusso per pochi! Ma per chi fa problema tutto questo? (ABS)


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