22 maggio 2022 -VI DOMENICA DI PASQUA (ANNO C)

 

El Greco: I Santi Pietro e Paolo (1595-1600)

Barcellona, Museo nazionale d'arte della Catalogna.

 

 

PRIMA LETTURA (Atti degli Apostoli 15,1-2.22-29)

In quei giorni, alcuni, venuti dalla Giudea, insegnavano ai fratelli: «Se non vi fate circoncidere secondo l’usanza di Mosè, non potete essere salvati».

Poiché Paolo e Bàrnaba dissentivano e discutevano animatamente contro costoro, fu stabilito che Paolo e Bàrnaba e alcuni altri di loro salissero a Gerusalemme dagli apostoli e dagli anziani per tale questione.
Agli apostoli e agli anziani, con tutta la Chiesa, parve bene allora di scegliere alcuni di loro e di inviarli ad Antiòchia insieme a Paolo e Bàrnaba: Giuda, chiamato Barsabba, e Sila, uomini di grande autorità tra i fratelli. E inviarono tramite loro questo scritto: «Gli apostoli e gli anziani, vostri fratelli, ai fratelli di Antiòchia, di Siria e di Cilìcia, che provengono dai pagani, salute! Abbiamo saputo che alcuni di noi, ai quali non avevamo dato nessun incarico, sono venuti a turbarvi con discorsi che hanno sconvolto i vostri animi. Ci è parso bene perciò, tutti d’accordo, di scegliere alcune persone e inviarle a voi insieme ai nostri carissimi Bàrnaba e Paolo, uomini che hanno rischiato la loro vita per il nome del nostro Signore Gesù Cristo. Abbiamo dunque mandato Giuda e Sila, che vi riferiranno anch’essi, a voce, queste stesse cose. È parso bene, infatti, allo Spirito Santo e a noi, di non imporvi altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie: astenersi dalle carni offerte agl’idoli, dal sangue, dagli animali soffocati e dalle unioni illegittime. Farete cosa buona a stare lontani da queste cose. State bene!».

 

 

SALMO RESPONSORIALE (Salmo 66)


Rit. Ti lodino i popoli, o Dio, ti lodino i popoli tutti.

 

Dio abbia pietà di noi e ci benedica,
su di noi faccia splendere il suo volto;
perché si conosca sulla terra la tua via,
la tua salvezza fra tutte le genti.

Gioiscano le nazioni e si rallegrino,
perché tu giudichi i popoli con rettitudine,
governi le nazioni sulla terra.

Ti lodino i popoli, o Dio,
ti lodino i popoli tutti.
Ci benedica Dio e lo temano
tutti i confini della terra.

 

 

SECONDA LETTURA (Apocalisse 21,10-14.22-23)

L’angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scende dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio. Il suo splendore è simile a quello di una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino.

È cinta da grandi e alte mura con dodici porte: sopra queste porte stanno dodici angeli e nomi scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli d’Israele. A oriente tre porte, a settentrione tre porte, a mezzogiorno tre porte e a occidente tre porte.

Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell’Agnello.

In essa non vidi alcun tempio:
il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello
sono il suo tempio.
La città non ha bisogno della luce del sole,
né della luce della luna:
la gloria di Dio la illumina
e la sua lampada è l’Agnello.


VANGELO (Giovanni 14,23-29)

In quel tempo, Gesù disse [ai suoi discepoli]:

«Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.

Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.
Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore.

Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate».

 

In altre parole

 

Siamo in ascolto di un Gesù che ci parla da amici. Ma forse noi ci sottraiamo o rifuggiamo, o perché non riteniamo che possa parlare a noi, o perché inconsciamente è troppo impegnativo ascoltarlo. A parte le nostre reazioni istintive, sulla base dei vangeli sinottici - Matteo, Marco, Luca - siamo portati a vedere in lui il Maestro, il Profeta, il predicatore del Regno di Dio, il narratore di parabole, il guaritore ecc…

 

Un Gesù che qui si rivolge a noi personalmente e ci dice parole di verità, che non hanno bisogno di essere accolte per vere senza spiegazioni, non sembra fatto per noi; non corrisponde a quello che presentiamo o gli facciamo dire nelle nostre omelie. Si tratta di una comunicazione reale e non solo di “comunione spirituale” (quasi che solo quella sacramentale sia reale!), ma quando anche nei nostri rapporti personali ci si sposta sul piano della verità e della sincerità preferiamo sempre sottrarci.

 

Ebbene, egli ci dice senza mezzi termini che se uno lo ama osserverà la sua Parola. A Pietro aveva chiesto “mi ami tu?”; qui il discorso è impersonale ma proprio per questo rivolto a tutti e a ciascuno: è questa la via di accesso a lui e di un rapporto reale, che non sia solo sentimentale o religioso dettato da qualche sua immagine devota convenzionale: si richiede piena reciprocità. Non più soltanto il perentorio “ma io vi dico”, piuttosto un confidarsi e un confidare ad amici le parole che il Padre dice a lui: “Le parole che io vi dico, non le dico di mio; ma il Padre che dimora in me, fa le opere sue” (Gv 14,10).

 

Le sue parole a noi sono le stesse del Padre a lui, e questo bisogna tenerlo presente, perché viene a crearsi una situazione del tutto nuova, la sola che ci rende adoratori in spirito e verità: si riproduce in noi, in scala infinitesimale ma pur sempre reale, la condizione trinitaria, per cui la cosiddetta “vita spirituale” non è qualcosa che bisogna creare in noi con artifici psicologici o tecniche interiori, ma è quanto dovremmo semplicemente far respirare e vivere come figli rigenerati, appunto conservando e osservando la sua parola: qualcosa che prima di essere risposta pratica è fede viva del cuore, amore che crede e fede che ama!

 

Ecco di cosa dobbiamo essere consapevoli e testimoni come matrice di una esistenza di fede: “Noi abbiamo conosciuto l'amore che Dio ha per noi, e vi abbiamo creduto. Dio è amore; e chi rimane nell'amore rimane in Dio e Dio rimane in lui” (Gv 4,16). Amore e fede si rispecchiano e si corrispondono: c’è forse in giro troppa fede (intesa come religiosità spuria) senza amore, così come c’è tanto apprezzabile amore senza fede, ma è come acqua che scorre ignorando la sorgente e non tenendo conto che finisce nel mare!

 

C’è amore senza fede, anche se ispirato a precetti e insegnamenti del vangelo per avvalorare il proprio sentimento e il proprio altruismo: ottima cosa, ma cosa diversa da quanto Gesù si aspetta quando ci dice di osservare la sua parola! La fede in lui fa la differenza ed è diversificata anche al suo interno: non basta infatti aderire a Gesù e al suo insegnamento, senza desiderare e accettare che egli stesso si rapporti a noi come via verità e vita. E questo è possibile ed avviene attraverso “il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome”, come ci dice chiaramente: ci sarà dato perché porti a termine la sua opera, così come egli aveva compiuto l’opera del Padre quando era ancora presso di noi, e cioè nella reale condizione storica.

 

Non basta cioè rimanere dentro l’immaginario religioso collettivo di matrice cristiana per entrare nel vivo di questi accadimenti: per esempio non si capisce perché la cristianità abbia fatto di tutto per trattenere Gesù nelle sue presunte fattezze umane, e non si sia preoccupata abbastanza di introdurci  nella nuova epoca - detta “del tempo di mezzo” tra il ritorno al Padre e la parusia - in cui Gesù è vivo e presente nello Spirito, così come la potenza dello Spirito operava attraverso di lui uomo. A parte questo, teniamo abbastanza conto che il Paraclito ci è dato per insegnarci ogni cosa e ricordarci tutto ciò che egli aveva detto? Valorizziamo abbastanza questa risorsa e ci sta a cuore andare verso la verità tutta intera?

 

Questo salto di qualità o cambiamento di scena vale anche per quanto riguarda la pace che il Risorto dona ai suoi insieme allo Spirito: non è quella che può dare il mondo, ma vuole essere lui stesso la loro pace, appunto col suo Spirito che geme in noi. Non so se questo sia pacifismo o non-violenza portata a principio, ma è senz’altro farsi operatori di pace come figli di Dio e andare a lui nei nostri conflitti e nelle nostre oppressioni per trovare la sua pace. Evasione spiritualista o realismo totale? Non si possono raccogliere frutti buoni se non da alberi buoni! Forse è una pace che impegna e che spaventa, per questo è lui stesso a dirci: “Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore”.

 

Il segreto di questo coraggio sta in una esistenza di fede non solo pensata e celebrata, ma vissuta in presa diretta, nella consapevolezza del suo distacco dai nostri occhi, ma nella certezza del cuore che torna a noi e non ci lascia orfani. Siamo avvertiti prima, perché al momento opportuno possiamo credere. Credere cosa? Che egli è presso il Padre, come al principio, ma ora con la sua umanità e noi con lui, sapendo che il Padre è più grande di lui come fonte di ogni santità e di amore: e di questo dobbiamo rallegrarci. Siamo riportati alle sorgenti della vita e della salvezza!

 

Una questione “salvezza” è stata sempre all’ordine del giorno nella vita della chiesa, e forse possiamo lamentare il fatto che oggi non sembra fare problema, segno evidente di svilimento della fede. È la questione che ha portato allo scontro l’antico Israele e la Chiesa nascente, ma che si è subito trasferita dentro la stessa chiesa tra giudeo-cristiani ed etnico-cristiani provenienti dai pagani. Infatti: “In quei giorni, alcuni, venuti dalla Giudea, insegnavano ai fratelli: «Se non vi fate circoncidere secondo l’usanza di Mosè, non potete essere salvati»”.   Il punto era se la Legge di Mosè dovesse rimanere in vigore anche per i non Giudei o se la fede in Cristo fosse fonte di salvezza anche prescindendone.

 

Vediamo Paolo e Barnaba che dissentono e discutono animatamente, così  come è poi successo spesso nella storia, magari con scomuniche incrociate, mentre qui abbiamo un primo esempio di come vadano risolte le controversie tra credenti: siamo al primo Concilio di Gerusalemme, che dirime la questione di fondo nel senso della separazione, ma trovando un compromesso per gli aspetti collaterali. Se da una parte si prendono le giuste distanze, dall’altra ci si viene incontro!

 

È qualcosa che si riscontra anche nel passo dell’Apocalisse, dove di nuovo abbiamo la visione della “città santa, Gerusalemme, che scende dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio”: le porte di questa città santa portano i nomi delle dodici tribù dei figli d’Israele e sono aperte da tutte le latitudini. Ma al tempo stesso ci viene detto che “le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell’Agnello”. Forse è l’immagine più significativa che possiamo avere della Chiesa di Dio come nuovo Israele, come compimento e non come sostituzione della Legge di Mosè. Ma quale consapevolezza ha il Popolo di Dio di questa sua eredità?

 

L’immagine degli Apostoli Pietro e Paolo è il simbolo vivente della duplicità costitutiva della città di Dio, che trova in questa dialettica interna la sua fecondità e la sua perenne novità! Anche nel coraggio di dissentire e discutere animatamente! (ABS)


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