15 gennaio 2023 - II DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)

 

Domenico Ghirlandaio: Predicazione di San Giovanni Battista (1486-1490)

Firenze, Chiesa di Santa Maria Novella, Cappella Tornabuoni

 

PRIMA LETTURA (Isaia 49,3.5-6)

Il Signore mi ha detto:
«Mio servo tu sei, Israele,
sul quale manifesterò la mia gloria».
Ora ha parlato il Signore,
che mi ha plasmato suo servo dal seno materno
per ricondurre a lui Giacobbe
e a lui riunire Israele
– poiché ero stato onorato dal Signore
e Dio era stato la mia forza –
e ha detto: «È troppo poco che tu sia mio servo
per restaurare le tribù di Giacobbe
e ricondurre i superstiti d’Israele.
Io ti renderò luce delle nazioni,
perché porti la mia salvezza
fino all’estremità della terra».


SALMO RESPONSORIALE (Salmo 39)


Rit. Ecco, Signore, io vengo per fare la tua volontà.

 

Ho sperato, ho sperato nel Signore,
ed egli su di me si è chinato,
ha dato ascolto al mio grido.
Mi ha messo sulla bocca un canto nuovo,
una lode al nostro Dio.

Sacrificio e offerta non gradisci,
gli orecchi mi hai aperto,
non hai chiesto olocausto né sacrificio per il peccato.
Allora ho detto: «Ecco, io vengo».

«Nel rotolo del libro su di me è scritto
di fare la tua volontà:
mio Dio, questo io desidero;
la tua legge è nel mio intimo».

Ho annunciato la tua giustizia
nella grande assemblea;
vedi: non tengo chiuse le labbra,
Signore, tu lo sai.

 

SECONDA LETTURA (1Corinzi 1,1-3)


Paolo, chiamato a essere apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio, e il fratello Sòstene, alla Chiesa di Dio che è a Corinto, a coloro che sono stati santificati in Cristo Gesù, santi per chiamata, insieme a tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù Cristo, Signore nostro e loro: grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo!

 

 

VANGELO (Giovanni 1,29-34)

In quel tempo, Giovanni, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele».

Giovanni testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo”. E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio».



In altre parole…

 

Sarebbe riduttiva una lettura dei brani scritturistici proposti che prescindesse dalla vita concreta della chiesa e dalle tensioni in cui versa anche ai nostri giorni, magari facendoci forti del fatto che siamo in ambito “spirituale” e quindi al di fuori di questioni “pastorali” controverse. Ma allora il problema di fondo è forse proprio la concezione della spiritualità, intesa come sfera separata e derivata rispetto alla confessione di fede. La centralità della fede, infatti, non è un mondo a sé da cui trarre solo ispirazione per spiritualismi e moralismi vari, ma è fonte e vertice della vita spirituale e dell’esistenza credente in tutta la sua ampiezza e concretezza; non è solo una premessa di dominio altrui da cui derivare criteri di vita cristiana e spirituale satellitare rispetto ad un baricentro dottrinale e gerarchico di chiesa. Spiritualità insomma non è aggiunta facoltativa e perfezionista di una fede separata, ma è vivere per fede, quale che sia la sua espressione esteriore e solidale. La sfida presente è che la centralità della fede non sia solo ideologica e spiritualistica, ma reale e orientativa nel vissuto storico della chiesa.

 

Questo per dire che il nostro riferimento alla Parola non è finalizzato ad intenti  ulteriori e accessori - neanche quelli liturgici immediati - ma tende a cogliere quanto da essa può nascere all’interno delle situazioni e delle istanze del momento, perché la Parola si rivela e cresce attraverso il vissuto di chi l’ascolta e la medita in cuor suo, ma non in maniera intimistica. E così, dopo che Isaia ha riferito le parole che il Signore riserva al suo Servo, ora questo servo altri non è che lo stesso Israele, su cui dovrà posarsi e rivelarsi la sua gloria, perché a questo è stato chiamato fin dal seno materno: per ricondurre a lui la casa di Giacobbe e tornare a lui come suo popolo o Israele di Dio. Ma tutto questo - azione libera di Dio – allo scopo di essere luce per le nazioni e di portare salvezza fino all’estremità della terra. C’è qui tutta la presenza e potenza di Dio nel mondo!

 

Non è difficile riconoscere in questo Israele la vocazione del nuovo Popolo di Dio, o nuovo Israele, che è la chiesa come luogo di raccolta dei convocati: là dove la scelta autonoma del Signore è primaria e dove la risposta di fede deve consentire la sua azione nella storia. Quando si dice che siamo salvati per fede e non per le opere, non è da intendere solo l’agire pratico, ma anche l’insieme delle pratiche religiose di pietà, delle esercitazioni spirituali, delle forme di perfezionamento interiore, comunque opere soggettive, piuttosto che comunicazione di grazia e verità!

 

A questo intramontabile Israele di Dio è rivolta come sappiamo la incalzante predicazione di Giovanni il Battista, chiamato anche lui a “ricondurre i cuori dei padri verso i figli e i ribelli alla saggezza dei giusti e preparare al Signore un popolo ben disposto” (Lc 1,17). Tutto questo, naturalmente, non può rimanere oggetto di studio e di esegesi erudita, se non diventa esperienza profetica di un popolo ben disposto, chiamato ad esercitare lo stesso ruolo nello spirito di Elia. Dovremmo imparare da lui come preparare la via alla manifestazione del Messia Gesù per presentarlo al mondo senza tanti artifici linguistici accattivanti, ma nella sua fisionomia via via meglio percepita. Non sarebbe male se ci proponessimo una progressiva “conoscenza di Cristo” in prospettiva esistenziale.

 

Questo nuovo incontro con Gesù che viene verso di lui, dà a Giovanni occasione di ripetere quanto prima ancora del battesimo nel Giordano aveva detto di sé e aveva previsto del Messia, colui che era tra il popolo ma come sconosciuto. Ma è soprattutto occasione per rinnovare la sua testimonianza dopo l’esperienza del battesimo. Anche se lo conosceva come Gesù, di fatto comincia ad individuarlo come Messia quando era venuto a farsi battezzare nell’acqua, “perché egli fosse manifestato a Israele”. E lo presenta come il Servo o agnello di Dio, in grado di rimuovere ogni ostacolo tra Dio e il suo popolo. Ed è ciò che noi evochiamo frequentemente, quando ci rivolgiamo a questo “agnello di Dio”, perché si muova a pietà di noi e ci doni la sua pace: quindi qualcuno con cui comunicare dal vivo!

 

Di qui la testimonianza post-battesimale del Battista rivolta agli interlocutori presenti, ma riproposta dall’evangelista Giovanni come messaggio eterno: nel senso che se il Battista dichiara di aver contemplato lo Spirito discendere su di lui, afferma anche essere “lui che battezza nello Spirito Santo”. Fino alla dichiarazione suprema che fa da contrappunto a tutto il IV vangelo: “E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio”. Una testimonianza che certamente va accolta, ma soprattutto da rivivere e da dare, quando anche da parte nostra possiamo dire di non conoscere ancora quel Gesù di cui tanto si parla, fino a quando non ci accorgiamo che è lui a battezzarci nello Spirito, che a sua volta ci porta a confessare che egli è il Figlio di Dio, ed in questa fede noi tutti siamo figli di Dio: “Tutti voi infatti siete figli di Dio per la fede in Cristo Gesù” (Gal 3,26). Chiediamoci pure se non debba essere questa la sostanza della nostra spiritualità cristiana, o ci sia bisogno di altri additivi di facciata.

 

Questa trasmissione di grazia e pace nello Spirito di Cristo alla Chiesa di Dio di ogni luogo avviene – come Paolo ci dimostra – ad opera di chi è chiamato ad “essere apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio” nei confronti di quanti “sono stati santificati in Cristo Gesù”, in solidarietà con quanti sulla faccia della terra invocano il suo Nome, perché egli è Signore nostro e loro.

 

Sappiamo perfettamente che tutto questo è presente nella coscienza cristiana dei “praticanti”, ma per lo più come sfondo o scenario fisso e immodificabile, mentre si tratta della fede come sorgente di vita e visione del mondo. In una chiesa in cui c’è sempre da rimuovere il diaframma che separa il mondo della fede e il mondo della pietà, per far coincidere la dimensione della cose credute (fides quae) con quella del credere vissuto (fides qua), anche per non scadere in forme di religiosità spuria, lontana dal rendere testimonianza al mondo del Cristo “Signore nostro e loro”!  Possiamo ascoltare ancora Paolo quando ci dice: “Paolo, servo di Dio, apostolo di Gesù Cristo per chiamare alla fede gli eletti di Dio e per far conoscere la verità che conduce alla pietà” (Tt 1,1). Non è questo il compito primario di una chiesa che confessiamo “apostolica”? (ABS)


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