4 dicembre 2022 - II DOMENICA DI AVVENTO (ANNO A)

 

Pinturicchio: La predicazione del Battista (1504-05)

Siena, Cattedrale di Santa Maria Assunta, Cappella di San Giovanni Battista

 

PRIMA LETTURA (Isaia 11,1-10)

In quel giorno,
un germoglio spunterà dal tronco di Iesse,
un virgulto germoglierà dalle sue radici.
Su di lui si poserà lo spirito del Signore,
spirito di sapienza e d’intelligenza,
spirito di consiglio e di fortezza,
spirito di conoscenza e di timore del Signore.
Si compiacerà del timore del Signore.
Non giudicherà secondo le apparenze
e non prenderà decisioni per sentito dire;
ma giudicherà con giustizia i miseri
e prenderà decisioni eque per gli umili della terra.
Percuoterà il violento con la verga della sua bocca,
con il soffio delle sue labbra ucciderà l’empio.
La giustizia sarà fascia dei suoi lombi
e la fedeltà cintura dei suoi fianchi.
Il lupo dimorerà insieme con l’agnello;
il leopardo si sdraierà accanto al capretto;
il vitello e il leoncello pascoleranno insieme
e un piccolo fanciullo li guiderà.
La mucca e l’orsa pascoleranno insieme;
i loro piccoli si sdraieranno insieme.
Il leone si ciberà di paglia, come il bue.
Il lattante si trastullerà sulla buca della vipera;
il bambino metterà la mano nel covo del serpente velenoso.
Non agiranno più iniquamente né saccheggeranno
in tutto il mio santo monte,
perché la conoscenza del Signore riempirà la terra
come le acque ricoprono il mare.
In quel giorno avverrà
che la radice di Iesse si leverà a vessillo per i popoli.
Le nazioni la cercheranno con ansia.
La sua dimora sarà gloriosa.

SALMO RESPONSORIALE (Salmo 71)


Rit. Vieni, Signore, re di giustizia e di pace.

 

O Dio, affida al re il tuo diritto,
al figlio di re la tua giustizia;
egli giudichi il tuo popolo secondo giustizia
e i tuoi poveri secondo il diritto.

Nei suoi giorni fiorisca il giusto
e abbondi la pace,
finché non si spenga la luna.
E dòmini da mare a mare,
dal fiume sino ai confini della terra.

Perché egli libererà il misero che invoca
e il povero che non trova aiuto.
Abbia pietà del debole e del misero
e salvi la vita dei miseri.

Il suo nome duri in eterno,
davanti al sole germogli il suo nome.
In lui siano benedette tutte le stirpi della terra
e tutte le genti lo dicano beato.

 

SECONDA LETTURA (Romani 15,4-9)

Fratelli, tutto ciò che è stato scritto prima di noi, è stato scritto per nostra istruzione, perché, in virtù della perseveranza e della consolazione che provengono dalle Scritture, teniamo viva la speranza.
E il Dio della perseveranza e della consolazione vi conceda di avere gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti, sull’esempio di Cristo Gesù, perché con un solo animo e una voce sola rendiate gloria a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo.

Accoglietevi perciò gli uni gli altri come anche Cristo accolse voi, per la gloria di Dio. Dico infatti che Cristo è diventato servitore dei circoncisi per mostrare la fedeltà di Dio nel compiere le promesse dei padri; le genti invece glorificano Dio per la sua misericordia, come sta scritto:

«Per questo ti loderò fra le genti e canterò inni al tuo nome».

 

VANGELO (Matteo 3,1-12)


In quei giorni, venne Giovanni il Battista e predicava nel deserto della Giudea dicendo: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!». Egli infatti è colui del quale aveva parlato il profeta Isaia quando disse: «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!».

E lui, Giovanni, portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano cavallette e miele selvatico. Allora Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la zona lungo il Giordano accorrevano a lui e si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati.

Vedendo molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: «Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? Fate dunque un frutto degno della conversione, e non crediate di poter dire dentro di voi: “Abbiamo Abramo per padre!”. Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo. Già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. Io vi battezzo nell’acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più forte di me e io non sono degno di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala e pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».



In altre parole

 

Volendo cercare di vivere il tempo messianico che ci è dato, aperti a qualcosa di effettivamente inedito e di non preventivato, è opportuno prima di tutto verificare il nostro rapporto con la Scrittura: e cioè con “tutto ciò che è stato scritto prima…  per nostra istruzione”. Prima di tutte le nostre elevazioni spirituali ed esortazioni morali - della vita spirituale e del perfezionamento etico, di cui ci facciamo forti – non possiamo sottovalutare il fatto che essa è per la nostra istruzione: è per rivelarci la verità da credere, come fondamento delle cose sperate. Se questa pietra su cui costruire la nostra casa siamo soliti prenderla a prestito dalla chiesa costituita, proprio in quanto tale bisogna assolutamente cercare di edificarci  sul “fondamento già posto cioè Cristo Gesù” (1Cor 3,11), “essendo Cristo Gesù stesso la pietra angolare” (Ef 2,20). Se personalmente sono le nostre opere buone a far rendere gloria al Padre, come chiesa è l’autenticità e la trasparenza della fede a testimoniare e trasmettere il vangelo: a darci perseveranza e consolazione, che provengono dalle Scritture, per tener viva la speranza. Non è altro che la vita teologale, una volta indotta e mutuata  dalla istituzione, ma ora da vivere e condividere in proprio!

 

Non deve succedere che la nostra fede in quanto “comunità di credenti” si basi su semplici reminiscenze, formule funzionali al sistema religioso vigente, e non abbia più  forza e luce di verità intrinseca: una fede che non è più messaggio, sale che ha perso il sapore. Mettendo perciò tra parentesi ogni pre-comprensione, ascoltiamo quanto la Scrittura può insegnarci, a cominciare dal passo di Isaia. Ci lascia pensare che, se parliamo di prolungamento del mistero del “Verbo fatto carne” come sua irradiazione, lo possiamo considerare anche nella sua maturazione nel tempo, in quella gestazione del creato e dell’umanità di cui Paolo ci dice al capitolo della lettera ai Romani. Non a caso si parla di “semina Verbi”, di semi del Verbo!

 

È il processo che investe il Messia e interessa il messianismo, che non è prerogativa da attribuire al solo mondo ebraico, ma che ha continuità nella storia tutta e deve avere una risonanza attraverso il nuovo Popolo di Dio. Per cui ci sarebbe da chiederci se la chiesa esistente non venga meno a questa sua vocazione e responsabilità, mentre cerca poi ne cerca un recupero con quella che viene chiamata “missionarietà”. Forse meriterebbe riportare le cose alla loro origine e rivitalizzare lo spirito messianico, così come ancora una volta ce lo fa respirare Isaia.

 

Ci parla di un germoglio e di un virgulto che spunta dal tronco di Iesse, che è sì il giovane David, ma che porta in sé e rimanda a “quel giorno”, il “Giorno del Signore”: a chi sarà pieno dello Spirito di Dio in tutte le sue espressioni e porterà giustizia per gli umili della terra, sfiderà la violenza con la verga della sua bocca e col soffio delle sue labbra, il mondo sarà riconciliato e una convivenza pacifica sarà assicurata, unicamente “perché la conoscenza del Signore riempirà la terra come le acque ricoprono il mare”. Ma quanto ci sta a cuore la conoscenza del Signore tenendo presente che la vera adorazione è in spirito e verità? Sappiamo bene che quanto Isaia prospetta è diventato coscienza laica in una sorta di messianismo storico, ma ciò non deve voler dire il venire meno di un messianismo escatologico, quale si prefigura già attraverso David, il pastore promosso a re e a simbolo del Messia del futuro. Si è forse esaurita questa spinta propulsiva nella storia dell’umanità, o ci fa comodo pensare che non ci sia più o se ne possa fare a meno?

 

Quando Giovanni il Battista viene a predicare nel deserto della Giudea, non si presenta per la verità  nella linea davidica e messianica, ma in quella profetica: non si propone come figura del futuro Messia, ma come ultimo anello di congiunzione e di preparazione al suo apparire: “E tu, bambino, sarai chiamato profeta dell'Altissimo, perché andrai innanzi al Signore a preparargli le strade” (Lc 1,76). Egli “andrà davanti a lui con lo spirito e la potenza di Elia, per preparare al Signore un popolo ben disposto” (Lc 1,17). È un passaggio che non è tramontato, se Giovanni XXIII si è presentato al mondo e alla chiesa come mandato a preparare al Signore un popolo ben disposto, a rilanciare quella “praeparatio evangelica” che non dovrebbe mai mancare  come compito primario per ogni  chiesa.

 

Noi siamo soliti prendere dal Battista i richiami morali alla conversione, al ravvedimento, per disporsi personalmente al regno di Dio imminente, per poi prendere atto del Messia che egli indica presente in mezzo a noi, ma che noi non conosciamo. Magari possiamo rimanere attratti dall’austerità di vita di Giovanni da prendere come esempio, ma siamo meno portati a pensare che il ruolo del Battista ci  investe proprio in quanto chiesa, che prima d’essere popolo messianico e sacerdotale “in persona Christi – impersonando in qualche modo Cristo – siamo popolo profetico, che deve fare da tramite tra il mondo e il Messia: un compito che va assolto come ragion d’essere della chiesa nel mondo e non come attività accessoria e facoltativa di una chiesa già diversamente costituita: sono troppe le qualifiche che ci accreditano ai nostri occhi, ma che ci squalificano agli occhi del mondo. Chi osa proporsi come Giovanni Battista nei confronti del mondo, anche se ne evochiamo la figura ed il messaggio?

 

Ci sarebbe in effetti da impersonarlo ai nostri giorni e mutuare da lui la passione di riconoscere per primo il Messia e indicarlo presente nel mondo, sia pure con tutte le sue incertezze e interrogativi: e se egli è venuto nello spirito e nella potenza di Elia, a noi è dato e richiesto  di  parlare e agire nello spirito di Giovanni, con quella radicalità che ispira. Ci sarebbe da ricreare le condizioni per promuovere la ricerca di un battesimo di penitenza e di rinascita, e per offrire punti di riferimento - le acque del Giordano – per chi voglia farsi battezzare. Non è possibile che la nostra ricerca del Regno di Dio sia già tutta preventivata e standardizzata, perché in tal caso c’è da scuotere le coscienze assopite e appagate.

 

Quando Giovanni vede venire al suo battesimo farisei e sadducei, che credono basti avere Abramo come padre per sfuggire all’ira imminente, si lascia andare a parole violente che li scuotano dalla loro falsa sicurezza e li portino a dare frutti degni di conversione, se non vogliono essere sradicati e gettati nel fuoco. Invece di  favorire il sonno delle coscienze, non dovremmo risparmiarci per risvegliarle, per riportare un popolo troppo sicuro di sé al reale stato delle cose, senza infingimenti e accomodamenti: che è la cosa più difficile da fare, anche se la più necessaria.  Il fatto è che ad entrare in uno stato di appagamento involutivo sono oggi le forze “riformiste” chiuse  nei propri slogan!

 

La sfida estrema da accettare e da rilanciare sta nel fatto che dalle pietre Dio può suscitare figli ad Abramo, e cioè nuovi credenti con cuore di carne. Una trasformazione mentale a cui c’è da predisporsi col battesimo nell’acqua, ma che è portata ad effetto da colui che battezza in Spirito Santo e fuoco. La visione che Giovanni ha di colui che  viene dopo di lui risente della sua impostazione di vita ed egli stesso dovrà entrare in crisi per metterla a fuoco dal punto di vista dello stesso Messia: egli infatti lo vede come colui che “tiene in mano la pala e pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile”.

 

Tutto sta a dirci che si tratta di un passaggio inevitabile, non automatico né indolore, ma travaglio da soffrire in una sorta di maieutica della fede. C’è un intreccio di esistenze tra Giovanni e Gesù che mette in evidenza la convergenza di fondo di vie diverse di salvezza, ma al tempo stesso dà rilievo al salto di qualità tra il Battesimo predicato e praticato nel Giordano e il vangelo del Regno: un processo sempre attivo nella storia della salvezza, che procede come duale e convergente e non in maniera lineare e predeterminata, come siamo abituati a pensarla. Ma se spesso ci chiediamo da dove derivano unanimismi, conformismi e clericalismi vari, è proprio da questo modo di vedere a senso unico, di vertice ed integralista, che ci rende tanto omogenei quanto estranei.   

 

Una lezione in proposito ci viene ancora dalla Scrittura, quando Paolo dice ai Romani: “Dico infatti che Cristo è diventato servitore dei circoncisi per mostrare la fedeltà di Dio nel compiere le promesse dei padri; le genti invece glorificano Dio per la sua misericordia”. Fedeltà e misericordia vanno di pari passo e devono continuare a  contrassegnare l’esistenza e l’agire del Popolo di Dio: e se in Cristo c’è la loro fusione, Giovanni rimane l’icona della fedeltà, perché Dio “si è ricordato della sua santa alleanza, del giuramento fatto ad Abramo” (Lc 1,72-73). Si può dire che messianismo e profetismo devono corrispondersi e non devono appiattirsi l’uno sull’altro. Non sono queste le verità che dovrebbero strutturare la nostra coscienza per ripensare seriamente la fede, senza inutili riempitivi? (ABS)


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