18 aprile 2021 -   III DOMENICA DI PASQUA (ANNO B)

 

Mattia Preti: Cristo risorto appare agli Apostoli (1670 – 1675)

 

 

PRIMA LETTURA (Atti degli Apostoli 3,13-15.17-19)

 

In quei giorni, Pietro disse al popolo: «Il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe, il Dio dei nostri padri ha glorificato il suo servo Gesù, che voi avete consegnato e rinnegato di fronte a Pilato, mentre egli aveva deciso di liberarlo; voi invece avete rinnegato il Santo e il Giusto, e avete chiesto che vi fosse graziato un assassino. Avete ucciso l’autore della vita, ma Dio l’ha risuscitato dai morti: noi ne siamo testimoni.

Ora, fratelli, io so che voi avete agito per ignoranza, come pure i vostri capi. Ma Dio ha così compiuto ciò che aveva preannunciato per bocca di tutti i profeti, che cioè il suo Cristo doveva soffrire. Convertitevi dunque e cambiate vita, perché siano cancellati i vostri peccati».

 

 

SALMO RESPONSORIALE (Salmo 4)


Rit. Risplenda su di noi, Signore, la luce del tuo volto.

 

Quando t’invoco, rispondimi, Dio della mia giustizia!
Nell’angoscia mi hai dato sollievo;
pietà di me, ascolta la mia preghiera.

Sappiatelo: il Signore fa prodigi per il suo fedele;
il Signore mi ascolta quando lo invoco.

Molti dicono: «Chi ci farà vedere il bene,
se da noi, Signore, è fuggita la luce del tuo volto?».

In pace mi corico e subito mi addormento,
perché tu solo, Signore, fiducioso mi fai riposare.

 

 

SECONDA LETTURA (1 Giovanni 2,1-5)

Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se qualcuno ha peccato, abbiamo un Paràclito presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto. È lui la vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo.

Da questo sappiamo di averlo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti. Chi dice: «Lo conosco», e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e in lui non c’è la verità. Chi invece osserva la sua parola, in lui l’amore di Dio è veramente perfetto.

 

 

VANGELO (Luca 24,35-48)


In quel tempo, [i due discepoli che erano ritornati da Èmmaus] narravano [agli Undici e a quelli che erano con loro] ciò che era accaduto lungo la via e come avevano riconosciuto [Gesù] nello spezzare il pane.

Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse loro: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro.

Poi disse: «Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni».

 

 

In altre parole…

 

È Pasqua quando la presenza del Risorto, che illumina ogni uomo, penetra e si diffonde sempre più a macchia d’olio nel cuore dei discepoli come fede. Ed è quanto continua ad accadere nel tempo come nascita dei figli di Dio nel mondo, ciò che porterà Paolo a formulare questo augurio di benedizione agli Efesini: “Che il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori e così, radicati e fondati nella carità, siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l'ampiezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità, e conoscere l'amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio” (Ef  3,17-19). A pensarci bene, c’è qui il nucleo della vita cristiana che dovrebbe fare da lievito per l’umanità: ed evitiamo di pensare che simile esperienza sia riserva di pochi !

Anche nel passo odierno del vangelo sembra ripetersi, sia pure a parti invertite, la storia di Tommaso l’incredulo come approdo al credere non solo di un singolo ma del gruppo: dove si dimostra che la fede è un dono che riceviamo prima ancora di ogni nostra accoglienza, assenso e adesione, un dono a cui bisogna aprirsi: qualcosa da desiderare, cercare, attendere per farsi  trovare pronti,  perché per ciascuno valgono queste parole: “Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (Ap 3,20). Ma come possiamo vedere, a volte non bussa neanche ed irrompe all’improvviso, anche a porte chiuse, per prendere dimora tra di noi! E può succedere che venga in casa sua ma i suoi non lo ricevano (cfr Gv 1,11). È questo il vero dramma della storia!

Di ritorno da Emmaus, i due discepoli intercettati da Gesù narrano agli altri il loro incontro con lui. Ma questi non hanno neanche il tempo di esprimere il loro sconvolgimento e la loro perplessità che si ritrovano lì quel Gesù di cui sentono dire che non solo si è fatto vedere, ma che si è fatto riconoscere nello spezzare il pane. Per quei due testimoni delusi non era bastato che li affiancasse e desse ascolto alle loro lamentele, che spiegasse loro le Scritture riguardo a lui. Per rendersi conto e aprire gli occhi su quella presenza hanno avuto bisogno di un gesto inequivocabile di memoria e segno di riconoscimento: lo spezzare il pane!

Ma anche gli Undici, come Tommaso, sono messi alla prova del fuoco con quel saluto di “pace” che ritengono venire da un fantasma e che li spaventa: non è solo nota di cronaca ma costante in ogni incontro di fede!  Ma per tranquillizzarli e riportarli alla realtà, quel fantasma rivolge ad essi come a Tommaso l’invito a toccarlo e a guardare le sue mani e i suoi piedi, a sentirlo presente in carne ed ossa, così come dimostra mangiando del pesce sotto i loro occhi. Per quanto pieni di gioia e di stupore essi continuano a non credere; vuol dire che non ci sono prove sufficienti per credere: perché, se ci fossero, la fede non sarebbe più fede ma altro: non sarebbe cioè quel rapporto gratuito e senza motivazioni esterne quale essa è. Essa nasce infatti dal nulla come pura e semplice generazione di intimità: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14,23).

Quello che si richiede è che ci sia una giusta sensibilità, una predisposizione, una polarità che provochi il feeling necessario alla nascita del rapporto tutto da vivere. E a questo portano le Scritture, l’ascolto della Parola di Dio come tale. Se prima della sua morte Gesù ricordava di continuo ai suoi quanto le Scritture dicevano del Figlio dell’uomo, ora non fa che ripetere a tutti le parole che diceva quando era ancora con loro: “Bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi”. È così che cerca di aprire loro la mente per comprendere quelle Scritture dove si legge: “Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno”. Non è un fatto marginale ma è il punto focale della fede, che diventerà per Paolo lo scandalo della Croce.

È chiaro quindi che per quanto riguarda la fede non si può prescindere dalle Scritture  come base e voce da ascoltare per credere col cuore e non solo per sentito dire: dobbiamo evitare i vicoli ciechi del dogmatismo e del razionalismo, del soprannaturalismo e del pragmatismo, dello spiritualismo e del ritualismo, dell’intimismo e dell’intellettualismo, per  arrivare a viverla come intima unione col Cristo.  Se così fosse, essa diventerebbe di suo la spinta propulsiva alla missione e alla predicazione, perché “nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni”.

 

Quali che siano gli stili, le modalità, gli abbellimenti di intenderla e di praticarla, è chiaro che è qui la ragion d’essere di una chiesa nel mondo, prima di ogni sua altra funzione storica, fosse pure quella di religione di stato o tempio di adorazione nei vari angoli del mondo, di cui possono fare a meno gli adoratori del Padre in spirito e verità. Se vogliamo capire meglio questa nostra condizione di intima unione con Cristo come adoratori del Padre con lui, sentiamo cosa ci scrive l’apostolo Giovanni nella sua prima lettera: in realtà le sue parole ci fanno entrare nella dinamica di questa intima unione, che non è qualcosa di accessorio al nostro rapporto con Dio, ma ne è l’anima, quella che ci fa dire “Padre nostro”. Ed è in questi termini che bisogna imparare a viverlo e non secondo regole che ci diamo noi per sentirci giusti davanti a lui. Non è qui il mistero del Regno rivelato ai piccoli?

 

Giovanni, con le sue lettere, ci vuol mettere in guardia dal “peccare”: dal venir meno in questa fede, e così ricadere nella incapacità di comunicare col proprio Signore. Non a caso Gesù fa capire la sua preoccupazione per i suoi quando dice a Pietro: “Ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli” (Lc 22,32). Possiamo ricordare anche il suo avvertimento ai Giudei in Giovanni 8, 24: “Vi ho detto che morirete nei vostri peccati; se infatti non credete che io sono, morirete nei vostri peccati”.  Possiamo capire meglio cosa intendere quando parliamo di peccati e quindi rendersi conto di cosa sia la remissione dei peccati: togliere gli ostacoli e riaprire la via per rimettersi in cammino verso il Padre.

 

In questo senso Gesù Cristo il giusto è il “Paracleto” o avvocato per noi presso il Padre, la nostra riconciliazione: in terminologia sacrificale diciamo che ”è lui la vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo”. È in gioco la nostra condizione umana prima che l’insieme di azioni buone o cattive: ed in questo senso si può parlare di “peccato originale” non in quanto colpa,  ma come privazione della comunione dell’uomo col suo Dio e incapacità di ristabilirla. Ma se c’è un rimedio per lo stato di peccato alla radice, a maggior ragione c’è possibilità di ripresa per chi fosse vittima di tentazione e venisse meno  nella fede, sapendo che “se noi manchiamo di fede, egli però rimane fedele, perché non può rinnegare se stesso” (2Tm 2,13).

 

La prova di questa ritrovata comunione di fondo che ce lo fa conoscere è se osserviamo i suoi comandamenti, perché se così non fosse e dicessimo di conoscerlo, saremmo bugiardi e smentiremmo noi stessi. E qui si torna all’ascolto e alla osservanza della “sua parola” se vogliamo che l’amore di Do sia in noi. Perché non tornare a pensare che è questo l’asse portante della vita cristiana, e non tutto il resto, che sì può aiutare ma può fare anche da ostacolo? Proseguendo la lettura della Lettera di Giovanni, al versetto 6 troveremmo queste decisive parole: ”Chi dice di rimanere in lui, deve camminare com'egli camminò”.

 

E per sapere come egli ha camminato, compito irrinunciabile di una chiesa è il coraggio o parresia con cui Pietro parla al popolo, per testimoniare pubblicamente che “il Dio dei nostri padri ha glorificato il suo servo Gesù”: quello stesso Gesù che era stato rinnegato e consegnato a Pilato per essere ucciso. La sua morte è conseguenza del rinnegamento o disconoscimento del Cristo “preannunciato per bocca di tutti i profeti”. In questo senso, pur non volendolo e pur non sapendo quello che si fa, diveniamo “uccisori” del Cristo in noi, quando “rinneghiamo il Giusto e il Santo” e quando il nostro “crucifige” va a lui piuttosto che a Barabba.

 

Il fatto che a risuscitarlo sia “il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe” – che sarà poi per Paolo il Dio di nostro Signore Gesù Cristo – assicura a questo mistero di salvezza una dimensione storica universale non di poco conto: la salvezza di Dio è per l’umanità tutta, così come è per tutti indistintamente l’invito che Pietro rivolge a tutto il popolo: “Convertitevi dunque e cambiate vita, perché siano cancellati i vostri peccati”. Non riduciamo l’opera di Dio a fatto di religione o confessionale, ma lasciamo che rimanga o diventi per tutti un fatto di conversione per “servire al Dio vivo e vero” (1Ts 1,9). Non ci sarebbe bisogno di questo al mondo? (ABS)


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