22 gennaio 2023III DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)

 

Jacopo Siciliano: Chiamata degli apostoli (1530-35 ca.)

Duomo di Spoleto, Cappella dell'Assunta

 

PRIMA LETTURA (Isaia 8,23b-9,3)

In passato il Signore umiliò la terra di Zàbulon e la terra di Nèftali, ma in futuro renderà gloriosa la via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti.
Il popolo che camminava nelle tenebre
ha visto una grande luce;
su coloro che abitavano in terra tenebrosa
una luce rifulse.
Hai moltiplicato la gioia,
hai aumentato la letizia.
Gioiscono davanti a te
come si gioisce quando si miete
e come si esulta quando si divide la preda.
Perché tu hai spezzato il giogo che l’opprimeva,
la sbarra sulle sue spalle,
e il bastone del suo aguzzino,
come nel giorno di Mádian.

 

SALMO RESPONSORIALE (Salmo 26)

Rit. Il Signore è mia luce e mia salvezza.

 

Il Signore è mia luce e mia salvezza:
di chi avrò timore?
Il Signore è difesa della mia vita:
di chi avrò paura?

Una cosa ho chiesto al Signore,
questa sola io cerco:
abitare nella casa del Signore
tutti i giorni della mia vita,
per contemplare la bellezza del Signore
e ammirare il suo santuario.

Sono certo di contemplare la bontà del Signore
nella terra dei viventi.
Spera nel Signore, sii forte,
si rinsaldi il tuo cuore e spera nel Signore.

 

 

SECONDA LETTURA (1Corinzi 1,10-13.17)

Vi esorto, fratelli, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo, a essere tutti unanimi nel parlare, perché non vi siano divisioni tra voi, ma siate in perfetta unione di pensiero e di sentire.
Infatti a vostro riguardo, fratelli, mi è stato segnalato dai familiari di Cloe che tra voi vi sono discordie. Mi riferisco al fatto che ciascuno di voi dice: «Io sono di Paolo», «Io invece sono di Apollo», «Io invece di Cefa», «E io di Cristo».
È forse diviso il Cristo? Paolo è stato forse crocifisso per voi? O siete stati battezzati nel nome di Paolo?
Cristo infatti non mi ha mandato a battezzare, ma ad annunciare il Vangelo, non con sapienza di parola, perché non venga resa vana la croce di Cristo.


VANGELO (Matteo 4,12-23)

 

Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, lasciò Nàzaret e andò ad abitare a Cafàrnao, sulla riva del mare, nel territorio di Zàbulon e di Nèftali, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaìa:


«Terra di Zàbulon e terra di Nèftali,
sulla via del mare, oltre il Giordano,
Galilea delle genti!
Il popolo che abitava nelle tenebre
vide una grande luce,
per quelli che abitavano in regione e ombra di morte
una luce è sorta».

 

Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino».

Mentre camminava lungo il mare di Galilea, vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. E disse loro: «Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini». Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono. Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, che nella barca, insieme a Zebedeo loro padre, riparavano le loro reti, e li chiamò. Ed essi subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono.

Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo.



In altre parole…

 

Viene celebrata in questo terzo appuntamento domenicale del Tempo ordinario la “Domenica della Parola”, istituita da Papa Francesco  con la Lettera apostolica “Aperuit illis” (30/9/2019), in cui si legge: “Stabilisco, pertanto, che la III Domenica del Tempo Ordinario sia dedicata alla celebrazione, riflessione e divulgazione della Parola di Dio. Questa Domenica della Parola di Dio verrà così a collocarsi in un momento opportuno di quel periodo dell’anno, quando siamo invitati a rafforzare i legami con gli ebrei e a pregare per l’unità dei cristiani. Non si tratta di una mera coincidenza temporale: celebrare la Domenica della Parola di Dio esprime una valenza ecumenica, perché la Sacra Scrittura indica a quanti si pongono in ascolto il cammino da perseguire per giungere a un’unità autentica e solida”.

 

Si aprono scenari di solidarietà e di comunione con quanti sulla faccia della terra ascoltano la Parola divina della predicazione “non quale parola di uomini, ma, come è veramente, quale parola di Dio, che opera in voi che credete” (1Ts 2,13). Senza sottovalutare il fatto che si tratta di una Parola rivolta a tutto il mondo oltre che ai credenti, non tanto come testo spirituale di meditazione o come codice di vita, ma per portare tutti ad una risposta di fede per la salvezza. Se qualcosa questa celebrazione può aggiungere alla consueta liturgia settimanale della Parola, spesso ridotta a fervorino o a catechesi, è una verifica del nostro approccio ad essa: è tale da creare una comunicazione viva di fede, o subisce essa stessa un impoverimento nei contesti liturgici, religiosi o mentali in cui la riceviamo? Non avremmo una pre-comprensione o assuefazione, per cui la lasciamo scivolare senza che lasci traccia? Abbiamo un ascolto diretto e personale di essa, o arriva a noi solo attraverso mediazioni comunque riduttive?

 

In realtà, essa dovrebbe produrre ciò che dice, e dopo averla ascoltata le cose per noi non dovrebbero stare come prima, perché essa segna il passaggio dalle tenebre alla luce, secondo quanto ci ripetiamo col salmo 118,105: “Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino”. Siamo usciti da poco dal tempo natalizio e tutta la liturgia è stata un inno alla luce: ma con quali riflessi nella nostra esistenza di credenti ed ecclesiale? Il profeta Isaia ci riporta a questa esperienza primordiale del venire alla luce, che è sempre fonte di libertà e gioia. E se anche da parte nostra non ci sono frutti di opere buone, che inducano a glorificare il Padre luce da luce (cfr Mt 5,16), ciò che più conta è che la luce vera ci sia nel mondo (cfr. Gv 1,9).

 

Ed allora, dalla Parola di Dio che ascoltiamo uniti e in comunicazione (qualcosa da tenere presente!), ci è dato vedere come questa luce si manifesta nel mondo per i popoli e verso le genti, a cominciare dalla  “Terra di Zàbulon e terra di Nèftali, sulla via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti”, dove Gesù “cominciò a predicare”: appunto attraverso la predicazione! Che anche allora un popolo camminasse nelle tenebre, lo dimostrava il fatto che le folle accorrevano al Giordano per avere dal Battista una parola di speranza e di liberazione, e per farsi battezzare: non è da pensare  che cercassero una generica perfezione spirituale o un approfondimento biblico. Era per ascoltare la predicazione di Giovanni, mandato “per dare al suo popolo la conoscenza della salvezza… per cui verrà a visitarci dall'alto un sole che sorge… per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nell'ombra della morte” (Lc 1,77-79). È in questo preciso senso che avviene il passaggio del testimone tra la predicazione di Giovanni e quella di Gesù: e precisamente in un momento difficile di crisi e di buio, col Battista in carcere. Il contesto reale in cui la predicazione di Gesù ha luogo è importante quanto i contenuti del suo insegnamento!

 

In realtà, prima ancora dei messaggi specifici, ad essere e fare luce è Gesù che predica: è la sua comunicazione viva ed efficace attraverso la sua Parola, una Parola che è sì Scrittura, ma è prima di tutto annuncio, proclamazione, rapporto vivo a cielo aperto lungo il mare di Galilea come sul monte, una Parola che risuona come imperativo di conversione e di fede e non solo come deposito dottrinale e riserva spirituale. Forse proprio quello che manca ai nostri giorni: si parla tanto della trasmissione della fede in piena crisi e si cercano rimedi sofisticati e tecnici, che non sembrano arrestare il processo degenerativo del credere al vangelo, e non solo in termini quantitativi, ma qualitativamente. Si dimentica o si omette un fatto molto semplice, e cioè che “la fede dipende dalla predicazione e la predicazione a sua volta si attua per la parola di Cristo”. In tempi di verbosità vuota e di inflazione verbale, non vogliamo prendere atto che la crisi vera è quella della “predicazione” in senso stretto e non solo come riempitivo didascalico ritualizzato.

 

Che Gesù stesso mettesse in primo piano il “predicare” lo dimostra subito la chiamata dei primi discepoli, che da semplici pescatori sono promossi a “pescatori di uomini”. In genere si pensa che la chiamata sia finalizzata all’esercizio del ministero e alla costituzione gerarchica della chiesa, ma si sottovaluta il fatto che tutto questo è invece perché “stessero con lui e anche per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demòni” (Mc 3,15). Se vogliamo parlare di imitazione di Cristo e di sequela, ecco quanto bisogna tenere presente: “Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo”. È da tenere presente che “in lui era la vita e la vita era la luce degli uomini” (Gv 1,4-5). Evangelizzazione vera e propria non è insegnamento “ex cathedra” ma evangelismo o vita evangelica di relazioni, ciò che è all’origine di ogni struttura storica di chiesa e di ogni forma storica di vita cristiana.

 

Si tratta, come esorta Paolo, di essere tutti unanimi nel parlare “in perfetta unione di pensiero e di sentire”, che non è unanimismo di maniera tra partiti di fatto contrapposti, ma è sradicare personalismi e leaderismi, ad evitare di dire “Io sono di Paolo”, “Io invece sono di Apollo”, “Io invece di Cefa”, per poter dire insieme “E io di Cristo”. Non dovrebbe essere questo lo sbocco di una settimana ecumenica di preghiera, in corso proprio in questi giorni? Il punto è se contano la proprie tradizioni e appartenenze umane - per cui definirsi paolinisti, apolliniani, pietrinisti, seguaci di una certa figura di Cristo a nostra misura – o se il riferimento reale è il Cristo crocifisso per noi e nel cui nome siamo battezzati.

 

Quando Paolo dice che Cristo non lo ha mandato a battezzare ma ad annunciare il vangelo, sta a dire che egli è strumento di fede in Cristo mediante la predicazione, e non è invece qualcuno in nome del quale essere battezzati e fare corpo a sé. Per quanto riguarda poi la predicazione precisa di praticarla “non con sapienza di parola, perché non venga resa vana la croce di Cristo”: un'attenzione che dovremmo avere  nell’impegno di evangelizzazione, se è questa la struttura di chiesa che nasce e si raduna intorno all’annuncio della Parola.

 

Forse merita leggere il prosieguo della lettera ai Corinti al capitolo 2,3-5: “Io venni in mezzo a voi in debolezza e con molto timore e trepidazione; e la mia parola e il mio messaggio non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio”. In realtà cosa ci aspettiamo quando ascoltiamo o predichiamo la Parola di Dio? Tentare una risposta a questo interrogativo potrebbe essere un modo efficace di celebrare la “Domenica della Parola”. (ABS)


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