11 dicembre 2022 - III DOMENICA DI AVVENTO (ANNO A) – GAUDETE

 

Giovanni di Paolo: Giovanni Battista visitato in prigione dai suoi discepoli (1455–1460)

Chicago, Art Institute

 

PRIMA LETTURA (Isaia 35,1-6a.8a.10)

Si rallegrino il deserto e la terra arida,
esulti e fiorisca la steppa.
Come fiore di narciso fiorisca;
sì, canti con gioia e con giubilo.
Le è data la gloria del Libano,
lo splendore del Carmelo e di Saron.
Essi vedranno la gloria del Signore,
la magnificenza del nostro Dio.
Irrobustite le mani fiacche,
rendete salde le ginocchia vacillanti.
Dite agli smarriti di cuore:
«Coraggio, non temete!
Ecco il vostro Dio,
giunge la vendetta,
la ricompensa divina.
Egli viene a salvarvi».
Allora si apriranno gli occhi dei ciechi
e si schiuderanno gli orecchi dei sordi.
Allora lo zoppo salterà come un cervo,
griderà di gioia la lingua del muto.
Ci sarà un sentiero e una strada
e la chiameranno via santa.
Su di essa ritorneranno i riscattati dal Signore
e verranno in Sion con giubilo;
felicità perenne splenderà sul loro capo;
gioia e felicità li seguiranno
e fuggiranno tristezza e pianto.


SALMO RESPONSORIALE (Salmo 145)


Rit. Vieni, Signore, a salvarci.

 

Il Signore rimane fedele per sempre
rende giustizia agli oppressi,
dà il pane agli affamati.
Il Signore libera i prigionieri.

Il Signore ridona la vista ai ciechi,
il Signore rialza chi è caduto,
il Signore ama i giusti,
il Signore protegge i forestieri.

Egli sostiene l’orfano e la vedova,
ma sconvolge le vie dei malvagi.
Il Signore regna per sempre,
il tuo Dio, o Sion, di generazione in generazione.

 

SECONDA LETTURA (Giacomo 5,7-10)

Siate costanti, fratelli miei, fino alla venuta del Signore. Guardate l’agricoltore: egli aspetta con costanza il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le prime e le ultime piogge. Siate costanti anche voi, rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina.

Non lamentatevi, fratelli, gli uni degli altri, per non essere giudicati; ecco, il giudice è alle porte. Fratelli, prendete a modello di sopportazione e di costanza i profeti che hanno parlato nel nome del Signore.



VANGELO (Matteo 11,2-11)

In quel tempo, Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!».

Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via”.

In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui».



In altre parole

 

Bisogna avere il coraggio di “sentire con la Scrittura” e accettare la sfida a superare il nostro abituale realismo per fare spazio alla realtà della parola profetica. Ancora una volta è Isaia che ci esorta a gioire e giubilare col deserto e la terra arida, e ad esultare con la steppa destinata a fiorire, perché in essi si manifesterà la gloria e la magnificenza del nostro Dio. Se ci riesce di fare questo passo, di vedere la manifestazione del Signore che crea cose nuove, troveremo la forza di farci coraggio anche nei nostri smarrimenti e cedimenti, perché c’è chi si fa nostro sostenitore. E se inizialmente vediamo la steppa fiorire, ora è la luce interiore di questa fede che ci spinge a vedere l’umanità risanata e rifiorita, perché egli viene a salvarci, e sarà motivo di gioia per tutto il popolo.

 

Non è quindi questione di parlare spiritualisticamente e utopisticamente di gioia, semplicemente perché liturgicamente è la domenica “gaudete” o della gioia, lasciando che tutto resti confinato in una celebrazione. Non possiamo dimenticare che ci si apre davanti un sentiero che sarà “via santa”, la strada che consente il ritorno a Gerusalemme, da mettere al di sopra di ogni nostra gioia (cfr. Sal 137): “Verranno in Sion con giubilo; / felicità perenne splenderà sul loro capo; / gioia e felicità li seguiranno / e fuggiranno tristezza e pianto”. È chiaro che non si tratta di un sentimento passeggero o di uno stato d’animo favorevole: si tratta del dono messianico per eccellenza e della promessa escatologica per tutti. Basterebbe ripensare al “magnificat” nell’incontro di Maria con Elisabetta, per renderci conto  che siamo su un piano diverso, che non manca di riflessi psicologici e comunitari, ma che soprattutto è opera dello Spirito, come del resto testimoniano le Beatitudini.

Molto perciò dipende da come ci posizioniamo nei confronti del dono messianico della gioia, se lo vogliamo consumare subito nell’immediato o se impariamo a viverlo come esercizio di speranza: “Siate allegri nella speranza, pazienti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera” (Rm 12,12). L’invito ripetuto a rallegrarsi sempre perché il Signore è vicino non deve e non può volatilizzarsi, ma deve diventare il fulcro della vita cristiana. È tutt’altro che un compito facile, ma è anche il banco di prova della nostra vicinanza al Signore che viene per introdurci nella sua gioia.

C’è dunque in gioco il nostro modo di accogliere il Messia nella maniera giusta, cosa che non è stata facile neanche per Giovanni il Battista, che pure lo aveva indicato presente in mezzo a noi, e che ora si ritrova in carcere proprio per la radicalità con cui vorrebbe fosse accettato come colui che viene a bruciare la pula separata dal grano. Ma davanti all’attendismo di Gesù che non sembra voler entrare in azione secondo le sue attese, anche lui entra in crisi e si domanda se e che Messia sia quel Gesù che egli stesso ha presentato come Agnello di Dio. La risposta che Gesù dà ai discepoli inviati ad interrogarlo non fa che ripetere quanto già il profeta Isaia aveva individuato come opera messianica di riconoscimento, che è poi quanto Gesù legge e proclama di sé nella sinagoga di Nazaret, con questa precisazione: “Ai poveri è annunciato il Vangelo”.

È questa la novità che lo differenzia dal Battista e che forse diventa motivo di incomprensione: il fatto che, invece di tuonare contro i potenti (Scribi e Farisei, Erode) per fare la giustizia, egli si indirizza agli umili, ai poveri, agli ultimi, a chi non avrebbe potuto minimamente ristabilire un regno messianico in Israele. E questo è motivo di sconcerto per Giovanni, ma non fino allo scandalo, tant’è che vuole accertarsi e chiarirsi. Mentre Gesù ne prende spunto per metterci in guardia da nostre pregiudiziali e precomprensioni che compromettono il giusto riconoscimento del Messia, e per dirci che “beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!”. Niente di più facile, se rinunciamo a guardarlo secondo cliché e adattamenti a nostri modi di intendere, che lo falsificano agli occhi del mondo e oscurano la sua identità e opera messianica. E questo travisamento è sempre all’ordine del giorno!

Gesù sembra voler approfittare di questo incidente per far capire come lui vede Giovanni, e come vuole che le folle lo considerino, al di là di facili entusiasmi o di condanne: egli non è una banderuola né un assetato di potere, è un profeta e più che un profeta, perché non annuncia più da lontano il Messia futuro, ma è il messaggero e il testimone che lo indica  presente nel mondo, avendo egli stesso dovuto superare le proprie incertezze e risolvere i propri interrogativi. Per cui viene da chiedersi se noi, una volta mandati davanti a lui a preparargli la via, abbiamo prima cercato di superare le nostre incertezze e incomprensioni, o ci basta dire come sono andate le cose: se ci facciamo carico della necessaria profezia che deve precedere e accompagnare il Messia che viene.

E qui riaffiorano i due ordini di realtà in cui la vicenda della salvezza si sviluppa: Giovanni è il più grande tra i nati di donna, ma una volta che il regno dei cieli è dato ai poveri, anche il più piccolo in questo nuovo ordine di cose è più grande di lui: Gesù forse ci vuole segnalare il salto di qualità che c’è tra il battesimo di conversione e il battesimo nella fede in lui; che in rapporto a lui tutto va valutato diversamente, senza che questo pregiudichi quanto lo precede. In qualche modo anche la figura di Giovanni il Battista rimane necessaria per arrivare ad una comprensione più ravvicinata di lui e della sua salvezza. Ed è un avvertimento a non appiattirci subito su di lui in maniera sbiadita e senza che questo ci faccia problema, quando è il vero problema da risolvere con il dovuto discernimento e la necessaria costanza. se egli sia ”colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro”. È questa la tensione che dovremmo ritrovare e condividere in un avvento di speranza, invece di confermarci in certezze ormai solo formali.

Lo esige la venuta del Signore che è vicina, e che l’apostolo Giacomo dice di dover aspettare come l’agricoltore attende le piogge per il suo raccolto, rinfrancando i nostri cuori in vista di questo evento da non mancare: che è la nostra attesa non solo come scadenza ma come desiderio. In effetti, forse la nostra è un’attesa vuota, e non invece l’anima della nostra vita di fede. Per questo, a modello “di sopportazione e di costanza” ci vengono indicati i profeti. Perché di questo si tratta: di risvegliare e ravvivare lo spirito profetico di un Popolo che ha il compito di preparare la via del Signore: un compito tutt’altro che rituale! (ABS)


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